Banca fallita pagava lo Stato. Pagheranno i padroni, gli investitori e i clienti

soldiBRUXELLES – Se un’azienda qualsiasi fallisce pagano, a vario titolo, proprietari e creditori. Ma quando a fallire è un istituto bancario, una banca, chi paga? Fino a ieri, anzi sino ad oggi, a saldare il conto sono stati gli Stati. Ed è stato un conto di trilioni, migliaia di miliardi. hanno pagato gli Stati, cioè i contribuenti. hanno pagato perché le banche non chiudessero e non saltasse il pianeta.  Da domani a pagare saranno gli azionisti, gli obbligazionisti e anche i correntisti. Cioè i padroni, gli investitori e anche i clienti della banca che fallisce.

Salvare gli istituti bancari dal fallimento è tanto indispensabile quanto oneroso se si vuole evitare il collasso dell’economia. Per questo, per evitare l’implosione dell’economia continentale, gli Stati europei hanno speso tra il 2008 e il 2011 qualcosa come un terzo del loro Pil per tenere in vita le banche. Un’enormità di denaro pubblico usato per salvare degli istituti che sono comunque, spesso, privati. Una pratica che ha generato polemiche e proteste specie in un periodo in cui gli Stati sono costretti, a causa della stessa crisi che ha messo in ginocchio le banche, a pesanti sforbiciate su sanità, pensioni e sul welfare in generale.

Nonostante la loro importanza strutturale tenere in piedi gli istituti bancari in crisi solo con denaro pubblico è diventato insostenibile politicamente prima ancora che economicamente. Il “caso Cipro” ha poi in qualche modo fatto da apripista presentando il conto del salvataggio anche ai correntisti delle banche in crisi e ora, l’Ecofin, ha deciso che in futuro le cose cambieranno. E proprio la sciagurata gestione della crisi cipriota ha dimostrato la necessità di avere regole precise e di stabilire una chiara gerarchia tra i vari attori chiamati a rispondere del fallimento. In teoria, il meccanismo individuato dalla Commissione trova un largo consenso: i primi a pagare saranno ovviamente gli azionisti delle banche, poi i creditori non privilegiati, quindi i detentori di obbligazioni “senior”, in ultimo dovranno contribuire anche i correntisti ma solo quelli che detengono depositi superiori ai centomila euro.

Tutti d’accordo o quasi nello spostare l’onere dei salvataggi dal pubblico al privato, dagli stati agli azionisti e ai correntisti. Tutti d’accordo nel principio ma molto meno d’accordo nel modo ed infatti, l’ultima riunione dei ministri delle finanze dell’Unione, si è conclusa con un rinvio. Pomo della discordia la ripartizione delle perdite in caso di fallimento bancario e, soprattutto, la flessibilità. I criteri su cui c’è accordo sono infatti per ovvie ragioni criteri generali, che andranno però applicati a livello nazionale e, alcuni Paesi, con in testa la Francia appoggiata dalla Gran Bretagna, dalla Svezia, ma anche dall’Italia e dalla Spagna, hanno chiesto che venisse comunque consentito un certo margine di flessibilità nella definizione di chi paga e quanto. Parigi, per esempio, vorrebbe garantirsi la possibilità di proteggere i correntisti qualora si tratti di persone fisiche o di piccole e medie imprese. L’Italia non vorrebbe veder troppo penalizzati i detentori di obbligazioni per evitare una fuga dalla capitalizzazione delle banche. I Paesi fuori dall’euro, inoltre, invocano flessibilità per poter compensare il mancato intervento del Fondo salva stati ESM.

Sul fronte opposto la Germania, spalleggiata da Olanda e Finlandia, si è dimostrata invece irremovibile. Nessuna flessibilità dicono i tedeschi, per non alterare la concorrenza tra le banche sul mercato unico: se un Paese offrisse condizioni più favorevoli, infatti, i suoi istituti di credito si troverebbero in vantaggio rispetto ai concorrenti oltreconfine.

Su queste divergenze è naufragata l’ultima riunione e, la prossima “convocazione”, è attesa per mercoledì prossimo, ultima chiamata utile prima del vertice che attende i leader dei 27 paesi già il giorno dopo, giovedì, è che dovrebbe varare le misure partorite dall’Ecofin.

 

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