Banche: miliardi via dai depositi. Qualcuno se la fila “all’inglese”

ROMA – Nel terzo trimestre di quest’anno i depositi nelle banche spagnole sono diminuiti di 48 miliardi di euro, circa il 2 per cento. Cinque delle sei maggiori banche del paese iberico hanno visto ridursi i depositi. Spagna? In questo sono “spagnole” anche  le cinque maggiori banche italiane. Secondo Citigroup, fra la primavera e l’estate, i depositi a Unicredit sono calati da 273 a 246 miliardi di euro, oltre il 10 per cento. Intesa-San Paolo: calo da 145 a 122 miliardi di euro. Stessa situazione in Francia: i depositi a Société Générale sono scesi da 143 a 132 miliardi di euro. Secondo i dati della Banca d’Italia poi, fra aprile e settembre, i depositi in conto corrente degli italiani sono scesi da 791 a 774 miliardi di euro. Non è la paura, anzi il panico dei piccoli risparmiatori: sentimenti e ansie che per fortuna non ci sono. Ma qualcuno ha cominciato a togliere i soldi da conti correnti nelle banche, a decine di miliardi. Lo ha cominciato a fare perché non si fida che tutte, proprio tutte le banche, troveranno l’anno prossimo le centinaia di miliardi che occorrono loro per ripagare le obbligazioni emesse e in scadenza. Qualcuno, in altre parole, ha cominciato ad abbandonare la nave, filandosela per ora “all’inglese”, senza clamore e fischiettando mentre si allontana.

Non ci sono le condizioni per parlare di una corsa agli sportelli a ritirare i propri risparmi, per infilarli nel materasso o portarli in Svizzera, la realtà non è questa. Accadde in Argentina giusto dieci anni fa, ma oggi, a chiudere i conti, più che singoli risparmiatori, sono le aziende, le finanziarie. E questo è un segnale, l’ennesimo, della debolezza dell’euro, o meglio, dell’area euro e delle economie a questa moneta legate.

“La Germania ha un biglietto di prima classe, ma sul Titanic” si ironizza in ambienti finanziari. Quello che sta succedendo è che si stanno prosciugando le fonti di finanziamento del debito pubblico europeo. Scappano gli stranieri. Banche e fondi americani hanno già tagliato (nella misura di almeno 700 miliardi di dollari) la loro esposizione verso l’Europa. Ma anche i paesi emergenti si stanno ritirando. Le loro banche centrali che, fino al 2008, investivano fino al 29 per cento delle loro crescenti riserve in euro (sostanzialmente in titoli pubblici), sono scese al 22 per cento fra il 2009 e il 2010, e al 17 per cento nella prima metà del 2011. La falla più grossa però, è quella delle banche europee, comprese quelle tedesche, tradizionalmente protagoniste assolute sui mercati dei titoli pubblici. Non hanno più soldi. Preoccupate della solidità l’una dell’altra hanno smesso di prestarseli reciprocamente. E per rifornirsi di liquidità stanno ricorrendo massicciamente alla Banca centrale europea.

Martedì 22 novembre i prestiti ad una settimana della Bce alle banche sono arrivati al record di 247 miliardi di euro, cifre che non si vedevano dal 2009. Il punto è che la stessa crisi dei debiti pubblici costringe le banche (che avevano, per lo più, concentrato le loro riserve nei titoli di Stato) a cercare nuovi capitali. Ma questo sforzo di ricapitalizzazione si somma alla necessità di trovare i fondi per restituire i propri debiti. Le stime dicono che le banche europee, entro il 2012, devono rimborsare debiti per 800 miliardi di euro. E, nel momento in cui ne avrebbero più bisogno, si sta restringendo la loro più consistente fonte di finanziamento, tradizionale punto di forza del sistema bancario europeo: i depositi. Un circolo vizioso, un cane che si morde la coda. Alle banche servono liquidi per pagare i debiti, ma i correntisti non si fidano e, temendo che gli istituti bancari non siano in grado di onorare le scadenze, ritirano i risparmi, togliendo liquidità. Una storia già vista purtroppo. Un avvitamento che rischia di divenire fatale. Per ora solo agli inizi, visto che non ha ancora contagiato i piccoli correntisti. Per ora.

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