Bankitalia, i tremori del premier fanno male alla “reputazione sovrana”

Vittorio Grilli con Giulio Tremonti (Lapresse)

ROMA – Grilli o Saccomanni, questo è il dilemma che angoscia Silvio Berlusconi. Chi dei due succederà a Mario Draghi al vertice di Bankitalia? Da una parte i sostenitori di Fabrizio Saccomanni, soluzione interna e di continuità gradita al governatore uscente, alla Bce e ai mercati in generale, e non ultimo al Presidente della Repubblica. Dall’altra Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, appoggiato da Tremonti e, da ieri, anche da Bossi e quindi dalla Lega. Il cavaliere, nel dubbio, ha promesso ad ogni interlocutore che il suo candidato sarebbe stato quello da lui proposto. A Napolitano ha fatto intendere che Saccomanni andava bene e altrettanto ha fatto con Tremonti e Bossi per Grilli. Ma il governatore di Bankitalia è uno e la questione prima o poi andrà sciolta, scontentando o i mercati o gli alleati di governo. Come scrive Marcello Sorgi su La Stampa: “Nella Prima Repubblica una contesa del genere si sarebbe risolta allargando la rosa dei candidati e trovando al suo interno un terzo nome. Altri tempi”.

Tecnicamente il nome del nuovo governatore della Banca d’Italia deve essere proposto dal presidente del consiglio che deve sottoporre il candidato al parere, obbligatorio ma non vincolante, di Bankitalia. Una volta ottenuto questo parere, il nome passa per il consiglio dei ministri prima di arrivare sulla scrivania del Presidente della Repubblica che, materialmente, nomina il nuovo governatore. Una procedura che può sembrare contorta ma che, soprattutto, ha dei tempi tecnici per essere adempiuta, e i tempi scarseggiano. Draghi, governatore uscente, dal primo novembre sarà a Francoforte, alla guida della Bce. E il governatorato di Bankitalia, organismo che deve esprimere il proprio parere sul nome proposto dal cavaliere, si riunirà a fine ottobre.

Dietro i due “candidati” due partiti e due schieramenti diversi. Saccomanni, come detto, rappresenta la soluzione interna a Bankitalia, una soluzione di continuità quindi, gradita al governatore uscente e prossimo governatore Bce. Un nome dunque ben visto a livello europeo e, conseguentemente, ai mercati. Grilli invece è appoggiato da Tremonti, da tempo in rotta con Draghi, e dalla Lega: “Meglio Grilli che è di Milano”, ha detto Bossi. Questo non vuol però dire che il direttore generale del tesoro sia un candidato mal visto dai mercati.

Quello che di certo non è però ben visto dai mercati è l’indecisione del premier, il valzer di nomi, il tira e molla quotidiano come le alte motivazioni leghiste a favore di Grilli. “E’ di Milano” è evidentemente un non motivo per qualsivoglia interlocutore serio.

Fabrizio Saccomanni con Mario Draghi (Lapresse)

Nella lettera inviata quest’estate al governo italiano dalla Bce, lettera da cui è poi nata la manovra aggiuntiva ed oggi pubblicata dal Corriere della Sera, oltre alle altre indicazioni economiche e strutturali, alcune accolte e altre disattese, c’era anche la richiesta al nostro governo di “rafforzare con urgenza la reputazione della sua firma sovrana”, cioè della sua reputazione e della sua credibilità sui mercati. Ed essere indecisi su tutto, promettere al futuro presidente Bce che si sarebbe seguita una linea promettendo, quasi in contemporanea al ministro del tesoro che se ne sarebbe seguita un’altra, tende, nei paesi normali, a non funzionare come un rafforzamento della “reputazione sovrana”.

Tremonti che definisce Draghi “agente tedesco”, quando tra l’altro la stessa Merkel ha detto che la nazionalità del presidente Bce non conta nulla, e Bossi che sponsorizza Grilli perché milanese sono comportamenti francamente inappropriati che non solo non giovano, ma anzi danneggiano la già deficitaria reputazione italiana.

Al peggio non c’è mai fine, si dirà, ma ora Berlusconi si trova a dover risolvere un problema figlio anche della sua debolezza politica: onorare la promessa fatta a Napolitano e Draghi sarebbe probabilmente la soluzione più logica, ma il cavaliere non può certo giocarsi il sostegno di Bossi in Parlamento. Ma d’altra parte l’Italia non potrebbe nemmeno permettersi di “scontentare” il presidente Bce in pectore vista la sua situazione economica e l’aiuto che proprio dalla Banca Centrale Europea riceve. Cedere quindi a logiche interne di governo o favorire la soluzione privilegiata dagli interlocutori europei, questa è la questione. Bossi vorrà sicuramente qualcosa in cambio se sarà lui a “mollare”, ma quello che è certo è che la soluzione più dannosa per l’Italia è l’imbarazzante stallo in cui il governo langue in questi giorni.

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