PARIGI – “L’Europa più egoista e cinica è arrivata alla fine del suo ciclo”. Chi l’ha detto secondo voi? Indiziato numero uno sicuramente Umberto Bossi, notoriamente non un amante dell’Europa e ancor meno ora che al governo c’è un tecnico dall’Europa “benedetto”. Ma non è lui. Sarà forse stato allora un giovane No Tav o uno di quelli che generalmente vengono definiti di “area antagonista”? Ancora acqua. Dal palco della riunione progressista di Parigi a pronunciare quelle parole è stato il segretario del Pd Pierluigi Bersani. Quello stesso Bersani che appoggia Monti e vota le riforme indicate dall’“Europa egoista e cinica”. Nella ville lumiere contro il Monti-pensiero e a Roma con il Monti-governo. Singolare caso di sdoppiamento del pensiero.
Nemmeno un mese fa, il 2 marzo, 25 governi europei su 27, Gran Bretagna e Repubblica Ceca si sono sfilate, hanno firmato un nuovo Trattato di Bilancio. Trattato che ora i singoli paesi dell’Unione dovranno ratificare e che per l’Italia è stato firmato da Mario Monti, non Silvio Berlusconi. Governo Monti che gode dell’appoggio, decisivo, del partito di cui Bersani è segretario. I due sono stati anche fotografati ad un vertice di governo insieme appena qualche giorno fa, con Casini che ha postato l’immagine su Twitter. Ma dopo il vertice Bersani è volato a Parigi, invitato dal candidato socialista alla presidenza francese: Francois Hollande. Aspirante presidente promotore di una sorta di campagna elettorale europea, un’iniziativa per creare un fronte comune da opporre al fronte dei governi conservatori europei. L’esperimento è andato così così.
C’erano a Parigi i socialdemocratici tedeschi, tra cui il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, quello che secondo Berlusconi era perfetto per fare il kapo, e questa era la cosa importante si può dire. E c’era il Pd italiano, e anche Massimo D’Alema in qualità di presidente di una fondazione che sta scrivendo una sorta di manifesto per la nuova Europa. Non c’erano però gli inglesi che hanno glissato l’invito, non c’erano gli spagnoli causa tornata elettorale in casa e non c’erano i belgi. Una platea non affollatissima dunque ma nemmeno deserta.
Di fronte a questa platea Bersani, reduce dal vertice di governo, ha detto che il trattato europeo firmato da Monti non va bene. Non si sa se l’abbia detto anche al primo ministro italiano ma in merito ci sono forti dubbi. Non va bene perché “non basta”, perché il “fiscal compact” per la disciplina budgetaria è ispirato ad “un’austerità cieca” ed è “una resa agli interessi della finanza”. I progressisti europei “devono alzare la voce” per cambiarlo o almeno migliorarlo.
Sarà stato per il francese emilianizzato di Bersani, o per le sue lunghe parentesi in italiano, o forse ancora per delicatezza politica, ma nessuno ha chiesto al segretario del Pd se lui la voce l’avesse alzata con il governo che sostiene quando quel trattato ha firmato. Certo per Hollande è più semplice, non ha oneri di governo, lui, ed ha incentrato la sua campagna elettorale in parte proprio conto l’europeismo di Sarkozy. Non che sia antieuropeo per carità, ma appartiene alla schiera dei sostenitori di “un’altra Europa è possibile”. E Bersani, forse galvanizzato dall’aria parigina, forse contando che in Italia non lo sentisse nessuno, si è lasciato prendere la mano. Non che il tratto sia perfetto e non che non possano esistere visioni diverse. E’ singolare però come il pensiero di Bersani appaia in contraddizione con se stesso.
Il governo che sostiene è infatti il più europeo che l’Italia ricordi. Monti è stato a lungo e a vario titolo parte del governo europeo, dell’Europa ha avuto e ha l’appoggio e dall’Europa ha ricevuto e seguito indicazioni e consigli. Che male o bene abbia fatto poco importa, ma la sua natura europea è innegabile. Eppure Bersani a Roma lo sostiene, se non a spada tratta quanto meno con i voti in Parlamento, mentre a Parigi ne rinnega il pensiero.