Campidoglio fabbrica stipendi: 62mila. I Comuni termiti di Casa Italia

Gianni Alemanno (Lapresse)

ROMA – Dodicimila ottocento diciassette, settemila ottocento quaranta e seimila ottocento ventidue. Sono i dipendenti, rispettivamente, in forza all’Atac, l’Ama e l’Acea, le tre principali aziende del Comune di Roma. Totale 27.479 posti di lavoro: 2.637 in più rispetto al dicembre del 2008, più 10,6% in tre anni. Alla faccia dell’austerità, del blocco delle assunzioni e di bilanci da film dell’orrore. E se nella capitale si assume allegramente senza tanta attenzione ai bilanci, da Torino, prima capitale del regno, è partita la guerra al “patto di stabilità” a cui i bilanci dovrebbero rifarsi. Per legge. Il sindaco Piero Fassino ha infatti annunciato che, per pagare i conti, romperà quel vincolo raccogliendo, immediatamente, la solidarietà di molti colleghi alle prese con bilanci impossibili.

A Roma poi i 27 e passa mila dipendenti di cui sopra sono meno della metà di quelli, direttamente o attraverso società controllate, riconducibili al Comune. Il monte totale tocca infatti vette inarrivabili anche per aziende enormi, e ricche. Dall’alto dei suoi 62 mila dipendenti la capitale non teme confronti con colossi bancari del calibro di Intesa San Paolo, che ne occupa 70 mila, ma in tutta Italia, e arriva a guardare dall’alto perfino Finmeccanica, che tocca i 45 mila. Per non parlare dell’Enel, 37.383 dipendenti. Più o meno gli stessi che lavorano nelle società controllate o partecipate dal Campidoglio. Una cifra già di per sé sbalorditiva, ma che va ad aggiungersi ai 25.141 stipendi pagati direttamente dal Comune. Resta il dubbio se a questa cifra si debbano poi sommare le 1.409 persone che nel 2008 risultavano «fuori ruolo»: in tal caso si andrebbe ben oltre il totale di 62 mila.

Vero è che in base alla pianta organica il solo Comune dovrebbe retribuire oltre 5 mila persone in più. Ma è altrettanto vero che il numero dei dipendenti del Campidoglio, escludendo ovviamente quelli delle società partecipate, risulta nettamente superiore alla media nazionale. Secondo l’Ifel, il centro studi dell’Associazione dei Comuni, in tutta Italia i dipendenti comunali sono 459.591, con una proporzione di 7,59 per ogni mille abitanti. A Roma ce ne sono invece 9,10. Si potrà ribattere che stiamo parlando della capitale del Paese, con esigenze certamente non paragonabili a quelle dei piccoli centri. E che, per fare il caso di un’ altra grande città, i dipendenti del Comune di Milano non sono meno dei romani, in proporzione agli abitanti. Al 30 settembre del 2010 erano 16.097, cioè 12,15 per ogni mille abitanti. Tutto verissimo, ma c’è una differenza non da poco. Ovunque i dipendenti dei comuni sono in calo rispetto al passato. Non a Roma. In quattro anni i dipendenti comunali di Milano sono diminuiti di quasi 1.500 unità. Mentre a Roma, al contrario, gli organici hanno continuato a gonfiarsi. Soprattutto nelle municipalizzate.

Problema antico ma, da quando si è insediata l’amministrazione guidata da Gianni Alemanno, le assunzioni sono andate avanti a passo di carica. E “parentopoli”, com’è stata battezzata la stagione che ha visto approdare nelle società della capitale stuoli di congiunti, amici o colleghi di politici e sindacalisti, era solo l’aspetto peggiore di un fenomeno molto più diffuso e vasto.

Si può calcolare che il personale delle aziende che fanno comunque capo al Campidoglio sia cresciuto dal 2008 al 2010 di almeno 3.500 unità. Alla fine dello scorso anno l’Atac aveva 12.817 dipendenti, rispetto a due anni prima ce n’erano 684 in più, e a dispetto di una situazione economica da far accapponare la pelle. Dal bilancio consolidato 2010 emergeva chiaramente un buco di circa un miliardo di euro. I dipendenti dell’Ama, l’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti, erano invece 7.840. In due anni l’ incremento è stato del 24%: fra il 2008 e il 2010 gli organici sono aumentati di 1.518 unità. Nel bilancio dello scorso anno figuravano crediti verso utenti e aziende per la tassa sui rifiuti non pagata per la bellezza di 743 milioni di euro: poi svalutati a «soli» 436 milioni. I debiti con le banche toccavano 620 milioni. I posti di lavoro sono aumentati anche all’Acea, l’azienda dell’elettricità e dell’acqua, l’unica quotata in Borsa e ancora controllata dal Comune di Roma. Alla fine del 2010 erano 435 in più a confronto con il 2008.

Ma il record proporzionale di assunzioni spetta d una società più piccola: Risorse per Roma. L’«advisor», testuale dal sito Internet aziendale, «dell’amministrazione capitolina nelle attività di supporto per la realizzazione dei progetti di pianificazione territoriale urbanistica, rigenerazione urbana e valorizzazione immobiliare, promozione dello sviluppo locale e marketing territoriale…». Dipendenti 565. Ben 338 (il 148,9%) più di quante ne avesse nel 2008, quando i dipendenti erano 227.

Forte, o forse sanamente preoccupato dai “suoi” 62 mila dipendenti, il sindaco Gianni Alemanno si dice fiducioso in una revisione delle regole dei bilanci comunali, vincolati per legge: «Entro l’anno prossimo deve essere completata la trattativa sul patto di stabilità, così da avere dei vincoli più larghi che ci permettano di proseguire tutti i cantieri che sono in corso».

Patto di stabilità che il sindaco di Torino Piero Fassino ha annunciato di voler sforare, anche lui per pagare i cantieri, oltre ad altri creditori. “Avrei preferito aprire la discussione sulla revisione del patto senza doverlo sforare. Però ci sono circostanze in cui servono scelte forti”.

E dopo l’annuncio di Torino il dibattito si è aperto: da una parte i sindaci di tutta Italia, in blocco contro le norme che strangolano le città e le imprese; dall’altra mezzo governo impegnato a confermare che nei prossimi mesi le regole verranno riviste. “Autorevoli esponenti del governo hanno riconosciuto che il problema di una revisione dei meccanismi che regolano il patto esiste”, conferma Fassino, “e si sono detti d’accordo sulla necessità di discutere al più presto delle modifiche da apportare”.

Quasi tutte le grandi città si sono unite all’onda partita da Torino. “Fassino ha assolutamente ragione”, spiega il sindaco di Genova Marta Vincenzi. “È una fortissima richiesta che viene da tutti, una battaglia comune portata avanti dall’Anci. Spero che il governo possa in qualche modo recepirla, anche se è molto difficile”. Pare proprio che il governo in qualche modo recepirà o proverà a farlo, anche se i Comuni sono sordi, sordissimi a “recepire” quanto il governo ha loro suggerito: vendano qualcuna delle più di quattromila aziende municipalizzate e non si nascondano dietro il fatto che venderle adesso sarebbe “svenderle”.

 

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