Prima della crisi autonomi ok operai ko. Poi tutti giù meno statali e pensionati

Lapresse

ROMA – I lavoratori non sono tutti uguali e, soprattutto, non lo sono i loro redditi. Banale e ovvio? Forse sì, ma a certificarlo e metterlo nero su bianco ora ci pensa la relazione annuale di Banca d’Italia. Nell’ultimo decennio, quello che va dal 2000 al 2010, i lavoratori dipendenti hanno visto il potere d’acquisto dei loro redditi contrarsi mentre, nello stesso periodo, i lavoratori autonomi hanno visto i loro redditi crescere, con una forbice tra le due categorie che sfiora il 20%. Verso la fine poi del periodo preso in considerazione sul nostro Paese, e non solo, si è abbattuta la crisi. Dura, durissima con i lavoratori autonomi e più dolce invece con dipendenti pubblici e pensionati. Almeno sino all’introduzione delle riforme del governo Monti, che sono però fuori dall’orizzonte temporale preso in considerazione dalla relazione di palazzo Koch.

“Tra il 2000 e il 2010 le retribuzioni reali dei nuclei con capofamiglia operaio, commesso o apprendista sono scese del 3,2%, mentre quelle con capofamiglia lavoratore autonomo sono aumentate del 15,7%. Una differenza dunque del 20% tra le due categorie di impiego che porta la media nei due lustri ad una crescita dei redditi ad appena il 6,2%. Stabile quelli del pubblico impiego”, scrive il Corriere della Sera citando i dati della relazione di Bankitalia. Dati che confermano quanto già osservato dall’Ocse e che, ancora una volta, dimostrano come lavoratori e redditi non siano affatto tutti uguali.

Con il passaggio dalla lira all’euro abbiamo assistito ad un sostanzioso trasferimento di ricchezza dal lavoro dipendente al lavoro autonomo quindi. Spiegare le ragioni e la bontà di questa migrazione di ricchezza non è compito della relazione che questi dati fornisce. Al netto di speculazioni e furbizie è in qualche modo normale che il lavoro autonomo veda aumentare e diminuire il proprio reddito in relazione all’andamento dell’economia generale e in tempi molto brevi, mentre più lente sono e dovrebbero essere le modificazioni dei redditi da lavoro dipendente. E così si spiega in parte la crescita di questo tipo di reddito in momenti di buona salute economica come la decrescita in tempi di crisi. Almeno nel nostro Paese a questo “movimento” naturale si sono poi aggiunti altri fattori meno naturali e meno nobili, fattori che hanno portato alla differenza tra le due tipologie di retribuzione ad un passo dal 20%.

Se si osserva solo il periodo della crisi (dal 2007 ad oggi), si osserva invece un generale impoverimento dei redditi, ma con qualche sorpresa. Il reddito reale disponibile delle famiglie di operai è passato da 14.485 euro del 2006 a 13.249 del 2010, con un -8,5%; quello delle famiglie di dirigenti da 35.229 euro del 2000 a 43.825 del 2006 e a 38.065 del 2010, con un calo negli ultimi quattro anni considerati del 13,1%; i lavoratori autonomi, commercianti, artigiani liberi professionisti sono passati da 28.721 euro del 2006 a 26.136 euro del 2010 con una riduzione del 9%. Mentre hanno resistito, restando sostanzialmente invariati i redditi reali delle famiglie di impiegati, quadri e insegnanti, passati dai 21.344 euro del 2006 ai 21.311 del 2010. I pensionati infine non solo sono riusciti a tenere, ma hanno persino visto crescere, anche se di poco, il loro potere d’acquisto passato da 18.579 a 19.194 euro, con un +3,3%.

Hanno però poco da sorridere anche i pensionati e i dipendenti pubblici che, dalla relazione di palazzo Koch, sembrano uscire vincitori. La relazione prende infatti in considerazione i dati sino al 2010, prima cioè della riforma delle pensioni introdotta dal governo Monti nel 2012 e prima delle nuove regole per il mercato del lavoro introdotte dallo stesso esecutivo.

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