Monti quante divisioni ha? 18% solo se capolista e sbarca i Fini/Cesa

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Dicembre 2012 - 14:58 OLTRE 6 MESI FA
Mario Monti (LaPresse)

ROMA – Tra il 10 e il 13 per cento se decidesse di appoggiare, benedire politicamente qualcuno ma restando lui stesso fuori dalla lista e dalla mischia. Fino al 18 per cento se scendesse in campo in prima persona, capolista. Ecco quanto vale in termini elettorali Mario Monti, quanto vale un suo endorsment a favore, magari, di Luca Cordero di Montezemolo e quanto varrebbe una lista che lo vedesse capolista. Fino al 18 per cento alla dura condizione di scaricare, far scendere i Fini, i Cesa, insomma una buona parte della nomenklatura del classico Centro. E, anche se fosse, che ci fa con quel 18 per cento? Basta e avanza per far da sponda a una lista dei Progressisti vincente. Insomma per governare insieme a Bersani ma senza essere lui il premier. Quello che in fondo Monti, se vuole ha già in tasca. Quanto invece non basta per essere lui a governare in prima persona e in presa diretta. Diciotto per cento, sarebbe un bel risultato, ma ne vale la pena?

“Quante divisioni ha il Papa?” chiese sarcastico Stalin quando seppe che la Chiesa condannava il suo operato, convinto che il potere risiedesse non nella forza morale ma in quella materiale. Parafrasando il dittatore sovietico è lecito chiedersi “quante divisioni ha Monti?”. Il professore gode infatti di un vasto prestigio morale, ma in termini materiali il suo valore è tutto da misurare. Esistono certo delle stime, delle previsioni che dicono che, se quel patrimonio morale lo si vuol trasformare in parlamentari, bisogna che il quasi ex premier si metta in gioco in prima persona.

“Non è candidabile Mario Monti in quanto senatore a vita”, disse il presidente Giorgio Napolitano cercando di mettere al riparo l’ormai quasi ex primo ministro dalle tensioni elettorali. Vero, non è candidabile al Senato delle Repubblica ma è candidabilissimo alla camera dei Deputati e eventualmente anche come premier. Ed è questa la strada che in termini elettorali darebbe i maggiori frutti a Monti e ai suoi sostenitori.

L’appoggio esterno, per quanto forte ed esplicito ad un soggetto politico terzo, vale infatti circa il 10/13%. O meglio, l’attuale 10/11 per cento cui sono inchiodati Udc più Fli più altre “cosine” di Centro, anche ad aggiungerci Italia Futura di Montezemolo, trarrebbe dalla “benedizione” di Monti un vantaggio sensibile ma limitato: quello appunto che fa fare il saltino dal 10 al 13 per cento.  Mentre una lista che riportasse al posto numero uno il nome di Mario Monti, varrebbe molto di più, stimiamo il 18, qualcuno dice il 20%. Questo perché una discesa in campo in prima persona risulterebbe per l’elettorato certo più attraente rispetto ad un endorsement, ma soprattutto perché consentirebbe a Monti di attirare e conquistare fette di elettorato legate altrimenti ad altri partiti.

Come ci arriverebbe Monti a quel 18%? Con il dieci circa che gli portano in  dote Casini e Montezemolo, con circa l’un per cento di cui limerebbe i voti a Bersani, con altrettanto, un per cento anche qui, che varrebbe elettoralmente il trasloco di un po’ di Pdl ufficiale verso di lui, tipo Frattini e Pisanu per intenderci. E siamo al 12/13 per cento. E l’altro cinque per cento? Da un voto di opinione di  establishment e ceto dirigente che si formerebbe e coagulerebbe sul suo nome e da un recupero, parziale ma  non effimero, di propensi all’astensione, diciamo gli “astenendi” non per rabbia ma per reale incertezza su chi votare.

Pochi o niente voti Monti toglierebbe ai delusi di centro destra che non sopportano più di votare Berlusconi e che non se la sentono ancora di votare per Grillo. Pattuglie, non divisioni. Pattuglie, forse qualcosa di più, reggimenti ma non divisoni Monti toglierebbe a Bersani. Le “divisioni di Monti, se ci sono, sono nell’elettorato di opinione, quello che una volta avrebbe votato Pri o addirittura Pci senza essere di sinistra tanto meno comunista. Ma ad una condizione: apparire ed essere lui che chiama e non lui che viene chiamato e ospitato. Quindi niente Gianfranco Fini e Lorenzo Cesa, qui indicati non tanto come persone quanto come ideal tipi, e comunque un drastico taglio in lista a quelli che pur sostenendolo incarnano la politica “classica”.

Poche quindi numericamente le divisioni a disposizione di Mario Monti. Poche ma potenzialmente decisive. Con il 15/20% (ad essere ottimisti per Monti) non si governa certo. Ma la legge elettorale con cui si sceglierà il prossimo Parlamento rischia di produrre una maggioranza non maggioranza, almeno al Senato. Una maggioranza cioè senza i numeri per governare, una maggioranza quindi bisognosa dell’appoggio di altre forze politiche. Appoggio che potrebbe essere allora trovato proprio in Monti: governare con Bersani, se è solo questo l’obiettivo di Monti non ha tanto bisogno di passare per le elezioni. Se invece vuole arrivare secondo nella corsa, castigare con il terzo, quarto posto sia Berlusconi che Grillo e quindi fare in modo che Bersani governi con lui, allora a Monti mancano molte divisioni, anzi manca un elettorato che proprio non c’è.