Evasore “svizzero” avvisato, capitali mezzo spostati. Doppio gioco delle banche

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 21 Novembre 2012 - 14:40 OLTRE 6 MESI FA
Una filiale di Ubs, banca svizzera (LaPresse)

ROMA – Gli svizzeri spingono per chiudere. L’Italia frena. Da una parte il capo della divisione mercati del dipartimento federale svizzero per le finanze, Oscar Knapp, che due giorni fa si era detto fiducioso sulla possibilità di chiudere entro dicembre e i banchieri svizzeri che ieri, per bocca del vicepresidente dell’Associazione svizzera di categoria Jakob Schaad, si sono detti favorevoli all’accordo. Dall’altra l’Italia e il nostro governo, che con il ministro Vittorio Grilli frenano gli entusiasmi elvetici: “È ancora prematuro”. Che l’accordo si voglia o meno una domanda sorge però spontanea: perché parlarne prima, a chi conviene?

Accordi come quelli in discussione tra il nostro Paese e la Svizzera, come quello siglato tra Berna e Berlino o tutti gli altri simili sottoscritti dalla Confederazione solitamente non si pubblicizzano. Prima si siglano e poi si rendono pubblici. E il motivo è abbastanza ovvio: se chi possiede un capitale illecito in Svizzera o in qualsiasi altro luogo viene a sapere che di lì a poco sarà costretto a pagare per mettersi in regola, può decidere di nascondere il suoi capitali altrove. Non è un caso infatti che tutti i simili accordi stretti tra Svizzera, Germania, Gran Bretagna e Austria siano stati comunicati a cose fatte, per limitare la possibilità di una nuova fuga.

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Ma se parlarne prima serve a mettere in guardia chi possiede capitali illeciti, questo preallarme può essere anche uno strumento di pressione in mano alla Svizzera per spuntare condizioni migliori sull’accordo. Non è un caso che il primo a parlare di accordo vicino sia stato il capo della divisione mercati del dipartimento federale svizzero per le finanze e, in quest’ottica, assumono una sfumatura particolare anche le parole dei banchieri elvetici: “Secondo noi i nostri clienti italiani sono favorevoli ad un accordo, di sicuro lo siamo noi” ma “più è alta l’aliquota più è alto il rischio che il cliente fugga dall’accordo”.

È vero, le aliquote sono uno dei punti fondamentali per l’accordo. Individuare il punto tra prelievo troppo basso, equivalente a condono, e troppo alto sinonimo di fuga di massa dalla Svizzera non è facile. E in un ottica “buonista” i banchieri di Berna hanno ricordato al governo italiano questa possibilità. Ma in un ottica meno buonista, dove i banchieri magari pensano più ai loro correntisti, e ai loro depositi, che ad un fair play internazionale quelle stesse parole suonano non come un consiglio ma come una minaccia. Sono infatti, spesso, le stesse banche svizzere quegli stessi intermediari che, con profumate commissioni, possono aiutare i correntisti italiani a traslocare magari alle Cayman.

Questa, è vero, è una visione forse troppo cupa e sinistra dei banchieri elvetici. Il loro potrebbe essere un suggerimento in buona fede e l’uscita di Knapp potrebbe esser frutto di eccessivo ottimismo e nulla più. Sia come sia però il risultato di questa pubblicità è quello di mettere in allarme tutti gli italiani che hanno illegalmente portato soldi in Svizzera.

E se a pensar male spesso si azzecca, considerando che le banche sono soggetti privati che operano non in nome di un’etica comune ma di un tornaconto finale, si potrebbe dire che gli svizzeri vorrebbero la botte piena e la moglie ubriaca. Vorrebbero l’accordo per mantenere la segretezza a cui tanto tengono, difendendo l’anonimato dei loro conti, ma non si dispiacciono di avvertire i loro clienti che per questo, magari, decideranno dei loro costosi servizi come mediatori per traslocare i loro capitali in un altro paradiso fiscale.