ROMA – Big Pharma viene multata, a ragione, per le pratiche quasi legali ma certo scorrette che mette in campo a difesa dei suoi profitti ma a discapito di malati e conti pubblici. Non è però solo il cartello dei grandi produttori, delle multinazionali delle medicine ad approfittare in modo discutibile del mercato della salute. Almeno nel nostro Paese infatti Big Pharma va a braccetto con Little Italy.
Alle grandi case farmaceutiche che osteggiano i farmaci generici e sfornano prodotti in base ad esigenze di mercato più che di salute si sposano, da noi, i medici che non prescrivono i suddetti generici, i farmacisti che non fanno sconti, i grossisti che non riforniscono le parafarmacie che gli sconti li fanno e chi più ne ha più ne metta. In un mercato dove sembra nessuno segua l’interesse collettivo ma sempre e solo a quello particolare, che sia dell’industria, del medico o dell’imprenditore di turno ma mai del paziente. Insomma è pieno di “furbetti delle medicine”.
“C’è il colosso farmaceutico che fa perdere milioni allo Stato bloccando l’ingresso sul mercato dei più economici medicinali generici – scrive Paolo Russo su La Stampa – Le società che fanno cartello per aggiudicarsi l’affidamento delle cliniche. I grossisti che non riforniscono le parafarmacie che fanno più sconti su pillole e sciroppi. Quando non è l’Ordine dei medici a mettersi di traverso, cercando di impedire la pubblicità di chi offre cure low cost. La maxi multa affibbiata ieri a Novartis e Roche è solo la punta di un iceberg, come dimostrano la ventina di istruttorie aperte nell’ultimo decennio dall’Antitrust su industria, camici bianchi, case di cura, grossisti e farmacisti”.
Un iceberg davvero imponente se si pensa che la multa comminata ieri alle due industrie farmaceutiche tocca la considerevole cifra di 180 milioni di euro. “I due gruppi – si legge sul sito dell’Autorità – si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione dell’uso di un farmaco molto economico, Avastin, nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti”.
L’interesse delle case farmaceutiche è, almeno in parte comprensibilmente trattandosi di aziende private, in primis il profitto. E per raggiungerlo hanno a disposizione diversi mezzi, la maggior parte dei quali legale, seppur eticamente discutibile.
Per ostacolare l’arrivo dei meno cari generici possono, a brevetto scaduto, intentare una causa contro la casa che produce il medicinale meno caro. Così facendo ne bloccheranno la commercializzazione sino alla sentenza. O possono altrimenti apportare delle piccole modifiche ai farmaci già in commercio e in scadenza, immettendo sul mercato un farmaco nuovo. Nuovo però solo in apparenza. “A volte basta un piccolo particolare – scrive Michele Bocci su Repubblica -, un milligrammo appena e via, un vecchio farmaco sul punto di diventare generico si trasforma in un prodotto nuovo di zecca, da vendere ovviamente a un prezzo adeguato. (…)
Quel milligrammo ha regalato mesi di nuova giovinezza al Procaptan della Stroder, un farmaco efficace contro l’ipertensione. Quando il brevetto è scaduto e sono entrati sul mercato i generici a base del principio attivo perindopril, il produttore ha avuto un’idea. Ha cambiato i dosaggi da 4 e 8 milligrammi a 5 e 10, di fatto creando un nuovo farmaco. Così quando il medico scrive sulla ricetta Procaptan il paziente non può chiedere al farmacista il generico, come avviene per altri medicinali di marca con il brevetto scaduto, e il sistema sanitario spende 20,69 euro invece di 7,14. Proprio in questo periodo stanno entrando in commercio versioni “low cost” con il nuovo dosaggio del prodotto di marca. Cambiare il peso è solo uno dei sistemi per continuare a vendere un farmaco ormai vecchio a prezzo alto.
Altre tecniche prevedono la combinazione tra molecole diverse, che solo in alcuni casi può essere davvero utile per il paziente, oppure il cambiamento dei tempi di assorbimento dell’organismo, creando magari un effetto “retard”. Anche qui il risultato può non dare alcun beneficio ma solo influire sui costi. Il sistema forse più utilizzato è quello di mettere in commercio un nuovo farmaco molto simile a quello per cui sta scadendo il brevetto. Per ricominciare da capo, promuovendo al massimo solo il prodotto più recente e spingendo i medici a prescriverlo. È quello che è successo per il gabapentin e il pregabalin”.
Ma poi, più in basso, sotto il livello dell’acqua e alla base dell’iceberg di cui la sanzione dell’Antitrust fotografa la sommità, ci sono i grossisti che distribuiscono i farmaci. Grossisti che, spesso, non riforniscono o almeno non i modo adeguato le parafarmacie. Strutture queste, le parafarmacie, che solitamente applicano sconti che le farmacie tradizionali non fanno. Ovviamente a scapito degli utenti, dei pazienti.
Sopra i grossisti, lo Stato. Delle 4mila nuove farmacie che dovevano aprire secondo il dettame di Monti, se ne è quasi completamente persa traccia. Sotto i grossisti, i farmacisti che non esattamente sempre offrono ai loro clienti la possibilità di scegliere un farmaco generico a fronte di uno “classico”.
E poi, in mezzo, i camici bianchi, i medici. Restii anche loro, e anzi loro in primis, a prescrivere medicinali meno cari e affezionati invece ai marchi storici. Affezionati spesso non per un amor di gioventù ma affezionati perché abbindolati o conniventi con le campagne di promozione della grande industria.
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