Finanziamento ai partiti, cosa c’è da abolire: rimborsi, gruppi, giornali…

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 27 Maggio 2013 - 09:58 OLTRE 6 MESI FA

Finanziamento ai partiti, cosa c'è da abolire: rimborsi, gruppi, giornali...ROMA – Chi si ingozza si strozza, o chi troppo vuole nulla stringe. Molta e diversa la saggezza popolare che potrebbe descrivere la parabola dei finanziamenti pubblici ai partiti nel nostro Paese. Da “paradiso dei partiti” (definizione de La Stampa di sabato 24/5), potrebbe infatti diventare l’Italia l’unico paese europeo a non dare più un soldo pubblico alla politica.

Una parabola che quasi con scientifica arguzia potrebbe dribblare la sana via di mezzo dove spesso, se non sempre, abita la soluzione migliore. E’ indubbio che l’attuale legislazione, seppur migliorata dal governo Monti che impose un taglio secco del 50% ai fondi destinati ai partiti italiani, debba essere rivista e modificata profondamente. Un cambiamento diventato inevitabile per quello che è stato per anni una sorta di furto legalizzato, o comunque una truffa bella e buona ai danni degli italiani. E dopo anni passati ad esser presi per i fondelli, anni tra l’altro in cui il Pil pro capite scendeva mentre i soldi destinati ai partiti lievitavano più di un soufflé ben fatto, la rabbia popolare ha reso inevitabile e irrimandabile una riforma in tal senso.

I grillini ne hanno fatto una loro bandiera e persino Silvio Berlusconi, l’uomo che era primo ministro mentre diverse leggi e leggine che hanno contribuito a rendere il fiume di denaro pubblico destinato ai partiti un fiume in piena venivano varate, in campagna elettorale ha raccolto il sentimento popolare promettendo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Finanziamento pubblico che, in realtà, in Italia non esiste più da 20 anni. Introdotto a metà anni ’70 dopo gli scandali delle tangenti pagate alla politica, ed introdotto per evitare che ricchi privati e forti gruppi di pressione, le lobby, si potessero di fatto comprare la politica, è stato il finanziamento pubblico cancellato con un referendum nel 1993. Il referendum però, dove i si all’abrogazione si aggirarono intorno al 90%, non cancellava i rimborsi. E su questo cavillo è nata la presa in giro agli italiani. I rimborsi sono infatti rimasti ma sotto questo nome è rientrato quello che di fatto è stato per anni semplice finanziamento. Tra l’altro il più ricco che ci sia o quasi.

Riconoscere che dotare di denaro pubblico la politica sia una necessità è, anche ora che gli italiani vorrebbero cancellare tout court il finanziamento pubblico in tutte le sue forme possibili ed immaginabili, quasi un’ovvietà. Talmente un’ovvietà che se ne accorsero circa 25 secoli fa gli antichi greci che introdussero lo “stipendio” per i membri dell’assemblea così da rendere accessibile la vita politica anche a chi non era ricco.

Eppure, nonostante sia così ovvio e nonostante praticamente tutto il mondo civile destini, sotto varie forme, denaro pubblico alle forze politiche, per colpa di una gestione fraudolenta e truffaldina ora gli italiani non ne vogliono più sapere. E i politici, che sino a ieri il fiume del finanziamento pubblico hanno ingrossato e da questo si sono abbeverati, sono pronti almeno a parole a seguire l’umore popolare. Consci probabilmente della loro colpevolezza nell’aver consentito ad esempio che si stabilisse che i rimborsi elettorali, basati non sulle spese reali come dei rimborsi dovrebbero essere, ma sul numero di voti presi, fossero accordati ai partiti anche quando una legislatura finiva anticipatamente.

Facendo in modo ad esempio che tra il 2008 ed il 2010 il rimborso fosse doppio, per la legislatura in corso e per quella finita anzi tempo. Facendo in modo che, in quegli stessi anni, un partito come Rifondazione Comunista, non più in Parlamento, continuasse a prendere soldi. Consentendo che oltre ai rimborsi ci fossero fondi per i gruppi parlamentari, consiliari e via discorrendo. Consentendo che “forze” politiche formate da una sola persone fossero destinatarie di denari pubblici. Tutto legale per quanto orribile sin qui. Ma un simile fiume di denaro non poteva non solleticare gli appetiti dei soggetti peggiori tra i nostri rappresentati, e così gli scandali Fiorito e simili, quelli di Lusi e Belsito e via elencando. Tanto per dare qualche numero concreto, per quanto si tratti di cifre approssimative perché troppi sono i rivoli del fiume di denaro che negli anni si è riversato nelle casse dei partiti, dal 1974 ad oggi sono almeno 10 i miliardi di euro che gli italiani hanno dato ai partiti, di cui 6 di soli rimborsi. Nel solo 2010, anno probabilmente record, 289.8 i milioni di euro incassati dai partiti nostrani.

Se il problema è però evidente, meno semplice è la soluzione. Eliminare del tutto l’accesso al denaro pubblico espone al rischio che la politica e i partiti vengano comprati letteralmente e legalmente da chi ha i mezzi per farlo. Tra le possibili soluzioni si parla allora dell’1 per mille da destinare alle forze politiche. Idea plausibile ma viene immediatamente in mente l’inoptato del più famoso 8 per 1000, quella norma per cui non solo l’8 per 1000 dei contribuenti che esprimono la propria volontà in tal senso viene destinato alla chiesa cattolica o agli altri soggetti che ne hanno diritto, ma anche quello di chi non lo destina a nessuno segue, proporzionalmente, lo stesso destino. Se simile “abitudine” venisse applicata anche alla politica non sarebbe più una soluzione ma un’altra forma di presa in giro. Come presa in giro rischia di suonare la volontà di fare la riforma sì, ma in 3 anni. Per motivi tecnici si dice, ma 3 anni, in Italia, somigliano troppo al famoso “anno del mai”. Perché, come si dice, passata la festa gabbato lo santo, chissà che tra 3 anni non resti tutto com’è.