X

Guerriglia anti precariato: pagato a Iva da un solo “padrone”? Assunto

di admin |16 Marzo 2012 15:56

Lapresse

ROMA – Articolo 18 sì, articolo 18 no, articolo 18 forse, ma a certe condizioni. Sulla riforma del mercato del lavoro la parte riguardante l’uscita dei lavoratori è quella che probabilmente più sta a cuore ai sindacati, e certamente quella di cui più si è parlato. Mentre l’altra faccia della medaglia, quella cioè che riguarda l’ingresso nel mercato del lavoro, ha trovato molto meno spazio, almeno sui media. Anche se è un capitolo che interessa, e molto, milioni di italiani che vivono di precariato, oltre quelli che un lavoro non l’hanno del tutto. E nella bozza di accordo appena raggiunta ci sono importanti novità: i contratti a tempo determinato diventeranno più onerosi per le aziende e aumenterà la contribuzione per i contratti di collaborazione, mentre per le “finte” partite Iva scatterà la presunzione di continuità.

Mentre la segretaria della Cgil Susanna Camusso ribadisce la sua contrarietà alla modifica dell’articolo 18, giudicando inadeguate anche le ultime anticipazioni emerse dopo il vertice di ieri (15 marzo) tra il premier Monti e i leader politici che lo sostengono, altre anticipazioni riguardano i lavoratori che non temono di essere licenziati. Non perché certi del posto fisso, ma perché talmente incerti che prima di poter esser licenziati devono ancora raggiungere l’obiettivo contratto. Se infatti da un lato si parla molto delle regole che gestiscono l’uscita dal mondo del lavoro, altrettanto non si fa per quanto riguarda l’ingresso. Eppure il precariato in Italia è una condizione, infelice per lo più, che riguarda milioni di persone, strette e costrette tra contratti a tempo determinato, collaborazioni, false partite iva e altre forme contrattuali che non forniscono nessuna sicurezza. E nonostante una riforma in questa parte del mondo del lavoro sia evidentemente necessaria, il tema desta meno interesse mediatico.

Eppure dal vertice di ieri alcune proposte, anche interessanti, per semplificare la vita e dare speranze a chi nel precariato vive ne sono uscite. Prima fra tutte quella che riguarda le partite Iva “false”, cioè quei lavoratori che pur lavorando per una sola azienda sono costretti ad aprire una partita Iva per figurare come liberi professionisti che all’azienda in questione prestano la loro opera. Escamotage ampiamente diffuso ed utilizzato. Molto spesso infatti le partite Iva che lavorano per un solo committente nascondono un rapporto di lavoro subordinato. Stessa cosa per gli associati in partecipazione nei servizi: commessi e commesse per esempio.

Per contrastare questi fenomeni il governo propone, per quanto riguarda le partite Iva, “norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria, il carattere coordinato e continuativo della collaborazione tutte le volte che duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno” e da essa il lavoratore ricavi “più del 75 dei corrispettivi” e comporti “una postazione di lavoro presso il committente”. La sanzione è la trasformazione del rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato. In altre parole se il libero professionista lavora esclusivamente o quasi per un unico datore di lavoro, e da questo percepisce la quasi totalità del suo reddito, avendo magari anche una scrivania, si supporrebbe l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. E quindi addio partita Iva e benvenuto contratto a tempo indeterminato.

Stesso identico discorso poi per le collaborazioni prive di progetto, cioè per quei contratti di collaborazione in cui il progetto, che dovrebbe essere il movente stesso della collaborazione, non esiste o è vago, se non falso. Identica sanzione scatterebbe poi anche per le associazioni in partecipazione se costituite in attività con più di 5 persone, fatte salve quelle familiari.

Nuove norme poi per l’apprendistato che secondo il governo sarà il canale privilegiato di accesso dei giovani al mondo del lavoro. Apprendistato che dovrebbe portare con sé anche l’Assicurazione sociale per l’impiego: attualmente, invece, gli apprendisti sono esclusi da ogni strumento di sostegno al reddito. Per evitare un uso scorretto di questa forma contrattuale, il governo ha proposto di “condizionare la facoltà di assumere tramite apprendisti al fatto che il datore di lavoro possa dar conto di una certa percentuale di conferme in servizio nel passato recente”, tradotto l’azienda dovrà dimostrare di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza per poterne assumere di nuovi beneficiando delle agevolazioni sui contributi.

Infine un vero e proprio incentivo per chi assume a tempo indeterminato. Per ridurre il ricorso ai contratti a tempo determinato l’idea è quella di renderli più costosi per le aziende dal punto di vista contributivo: l’aliquota aggiuntiva per finanziare l’Assicurazione sociale per l’impiego sarà pari all’1,4% contro l’1,3% per i lavoratori a tempo indeterminato. Differenza di aliquota che però le aziende potranno recuperare sotto forma di “premio di stabilizzazione”, cioè le aziende che trasformeranno i contratti a tempo determinato in indeterminato potranno recuperare la maggiorazione contributiva (si avrà una restituzione pari all’aliquota versata, con un massimo di 6 mensilità). Infine la bozza dell’esecutivo interviene anche sull’impugnabilità del contratto a termine, eliminando il limite di 60 giorni dalla cessazione e riducendo dagli attuali 330 giorni a 270 “il termine entro il quale il lavoratore deve proporre, a pena di decadenza, l’azione in giudizio”.

Confindustria e le altre associazioni di categoria non gioiscono reputando queste potenziali novità come troppo onerose per loro, e questo non stupisce. Stupisce casomai di più il silenzio in merito di altre forze sociali.

 

Scelti per te