Il lato oscuro del precariato: lista d’attesa chiusa. I più giovani non saranno nemmeno precari

precariROMA – Il lato oscuro del precariato. Non l’insicurezza, non le mancate certezze per il futuro, non l’impossibilità di progettare e programmare. Se non bastasse tutto ciò, il precariato ha anche un altro grande, e quasi sconosciuto, lato oscuro. Lato oscuro che in questo caso però non colpisce i precari, ma i disoccupati, gli studenti, quelli che ancora non sono nemmeno precari. Già, perché la mole di lavoratori precari utilizzata in molti settori del mondo del lavoro italiano, oltre a regalare e relegare i lavoratori in una situazione d’incertezza e di scarsi diritti, chiude e sbarra la porta d’accesso al mondo del lavoro a quelli che ancora ne sono fuori e a quelli che ancora non sono nemmeno arrivati a bussare a quella porta. Tutto occupato, non ce n’è per nessuno, oggi come domani, ripassate tra qualche anno, meglio se una decina. In altre parole è come se anche la lista d’attesa fosse al completo, e i precari rappresentano quella lista di attesa.

Esempio principe di questa situazione è quello che riguarda la scuola, pubblica ovviamente, ma è solo un esempio perché la stessa fattispecie è applicabile a molti, moltissimi settori del pubblico impiego e non solo. Tutte le strutture, tutte le aziende che hanno una ampio “parco precari”, prima di assumere nuove figure, devono “smaltire” proprio i precari già inseriti. Vale, come detto, per la scuola. Ma vale anche per la Rai ad esempio, e con lei per molte altre aziende pubbliche e private.

A proposito della scuola il ministro Gelmini promise di assumere tutti i precari, iniziativa lodevole si pensò. Vero, ma nascondeva una fregatura, anche se di certo non voluta né pianificata dal ministro. Il mondo dei giovani ha infatti scoperto come andrà a finire: i precari verranno assunti, e loro rimarranno senza lavoro almeno per una decina d’anni. Il ministero ha calcolato che per il prossimo anno scolastico, il 2012-13, ci sarà bisogno di 26 nuovi prof abilitati, in media poco più di uno per regione. In realtà in alcune regioni non hanno bisogno di nuovi prof di lettere. Accanto alla casella di Lombardia, Friuli, Piemonte e Umbria c’è scritto molto semplicemente zero.

E per le altre materie? Informatica, ad esempio. In totale 63 nuovi posti da prof da abilitare per il 2012-13. Zero in Calabria, Molise, Sardegna e Umbria dove, evidentemente, non hanno ulteriori necessità con le lezioni su computer e dintorni. Un posto solo in regioni come Lazio, Campania e Sicilia dove il numero degli studenti e l’ampiezza del territorio lascerebbero immaginare ben altra voglia di investire in una materia che dovrebbe essere alla base dei saperi di tutti gli studenti del Terzo Millennio.

«Chi vuole fare l’insegnante se lo scordi, almeno per dieci anni. Se tutto andrà bene. Chi sta frequentando o vorrà iscriversi il prossimo anno a un corso di laurea in matematica, lingue, lettere, filosofia, scienze motorie, ecc., con l’intenzione di insegnare, sappia che non sarà possibile, perché i nuovi posti previsti dalle tabelle ministeriali per ottenere l’abilitazione all’insegnamento – anche nelle principali classi di concorso – ammontano sostanzialmente a zero fino al 2015. E, presumibilmente, si discosteranno di poco dallo zero fino al 2018», spiegano.

Il motivo? Dare la precedenza ai precari, rispondono gli studenti. «Il governo ha compiuto la sua scelta (calcolata o subita): sta dalla parte dei già abilitati non ancora immessi in ruolo e inseriti nelle graduatorie a esaurimento. Una scelta, è inutile nasconderlo, che soddisfa pienamente le richieste dei sindacati e privilegia i “diritti acquisiti”. Il tempo di smaltimento delle suddette graduatorie è stimato dagli uffici ministeriali in sette anni (ma alcuni bene informati dicono dieci o quindici), perciò prima di quella data non vi saranno nuovi ingressi. E i giovani? Si arrangino. Del resto, quelli che vogliono insegnare rappresentano un modesto serbatoio di voti e sono alla fin fine innocui. Siano loro il capro espiatorio!».

 

Ma non tutti vorranno fare gli insegnanti. Vero. Ma quello della scuola è solo un esempio e, forse, il caso più macroscopico, sintomo però di un fenomeno più ampio. Chi vorrà fare il pompiere, il biologo, l’astronomo, l’ingegnere chimico, l’agronomo, l’attrezzista di scena, il portalettere o il preside non troverà certo una strada spianata. Leggendo gli ultimi dati pubblicati da Unioncamere (2010), infatti, tutte queste professioni hanno un tasso di difficoltà di reperimento pari allo 0%. In pratica c’è la fila fuori dalla porta. Se poi i posti disponibili sono pochissimi, come accade per quelli da dipendente pubblico in tempi di tagli di bilancio (nel 2010, ad esempio, erano previste 20 assunzioni di vigili del fuoco, 10 di dirigenti scolastici, 600 di insegnanti elementari e 670 di professori di scuola secondaria superiore), alcuni lavori da sogni si trasformano in miraggi. «Con la nostra spesa pubblica rischiamo di avere un mercato distorto sul fronte delle offerte di lavoro – spiega Giuseppe Roma, direttore generale del Censis -. In realtà il Paese, di certe professioni, ha e avrà sempre più bisogno. Da qui al 2020, ad esempio, avremo bisogno di 30 mila medici. Eppure, a causa dei tagli e di una politica miope delle Asl che assumono troppo personale amministrativo, l’offerta di posti è molto più bassa».E Non va meglio nel settore privato: per i 7820 posti da sportellista bancario il tasso di difficoltà di reperimento è del 4,1%, per i 1280 posti da operatore per la ripresa e la produzione audio-video il tasso è dell’8,6% mentre per i 29.840 posti da contabile il tasso è comunque del 20,5%.

 

Un mondo del lavoro già saturo, che crea con difficoltà nuovi posti, e che registra il tutto esaurito anche in quelle che possono essere paragonate alle liste d’attesa. Lasciate ogni speranza voi ch’entrate…

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