MILANO – Si sono portati a casa il 5,7% in più tra il 2006 e il 2008, ma dal 2007 ad oggi il 40% di loro ha chiuso bottega. E’ la fotografia in pillole del variegato mondo dei lavoratori autonomi. Fotografia per forza di cose sfocata, di autonomi ne esistono di mille tipologie, dal calzolaio al notaio, qualcuno con ordine professionale e qualcun altro senza. E poi è difficilissimo se non impossibile quantificare l’evasione e comunque le dichiarazioni dei redditi “fantasiose”, diffusissime tra la categoria. Ma, stando ai dati ufficiali, questa è la sintesi.
Tra il 2006 e il 2008 il reddito medio dichiarato da un autonomo è passato da 24.200 euro a 27.500 euro, vale a dire di un +13,6%. E visto che nello stesso periodo l’inflazione è salita del 7,9%, l’incremento «reale» dei guadagni vale il 5,7% già citato. Numeri che sono ante crisi e che, come detto, rappresentano la media delle medie, naturalmente. Poi, considerando le semplici (e non esaustive) ritenute sulle imposte dirette, il 2009 si è chiuso con un calo del 2,2%, il 2010 con un leggero aumento dello 0,4% e i primi dieci mesi del 2011 (rispetto a gennaio-ottobre 2010) con un altro aumento dell’1,4%. Il conto certificato si ferma al 2008, ultimo anno disponibile con i dati completi – categoria per categoria – del dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, per il 2009, 2010 e 2011 si parla di stime.
Ma quanto guadagnano i lavoratori autonomi? Rimanendo nel mondo delle “medie” il Corriere della Sera pubblica una tabella. Si va dai circa 57 mila euro di notai e studi legali, sino ai 13 mila di chi si occupa di attività ricreative o sportive. Tra i “ricchi” anche i consulenti professionali (45 mila euro) e i medici (49 mila). Mentre tra i “poveri” figurano gli esercizi pubblici (15 mila) e l’ingrosso di materie prime agricole e animali vivi (22 mila). Un universo quindi simile ad un mosaico con un dato imponderabile: il sommerso.
Guadagno superiore all’inflazione sì, ma non per tutti. Tra quelli che hanno particolarmente sofferto in questi ultimi anni, c’è quel 40% circa di attività commerciali avviate nel 2007 e poi cancellate negli anni successivi (dati Indis). È una percentuale che batte di molto la media del totale dell’economia, dove «solo» il 28,5% delle imprese nate nel 2007 è stato poi cancellato. L’altra faccia, però, è quella che – nell’insieme – racconta il mondo di tutti gli esercizi commerciali, nati nel 2007 o no: tra il 2007 e il 2010 il saldo è addirittura positivo, con 11 mila attività in più, per arrivare a quota 1 milione 629 mila. E restando nel commercio, ecco che arriva un’altra «doppia realtà»: negli anni 2005-2008, gli stessi in cui gli autonomi si sono portati a casa un guadagno netto «reale» e dichiarato del 5,7%, i commercianti hanno chiuso in perdita con un -6%.
Notizie non buone arrivano poi dal mondo delle partite Iva in generale: nello scorso ottobre sono state aperte 41.790 nuove partite Iva, con una diminuzione dello 0,5% sul mese precedente e di oltre il 9% su ottobre 2010. Sono i dati dell’Osservatorio sulle partite Iva del ministero dell’Economia, per cui a dominare sono le persone fisiche, che hanno aperto quasi tre quarti dei nuovi «conti». Ed è il commercio il settore produttivo con il maggior numero di nuove partite Iva: circa un quarto del totale. Ma tra le partite Iva la realtà è duplice: su una platea di circa 8 milioni di posizioni ufficialmente aperte in tutta Italia, sono circa cinque milioni quelle per le quali vengono puntualmente depositate le relative dichiarazioni. Mancano all’appello tre milioni, inattive se non addirittura abbandonate. Quanto pesi l’evasione in tutto questo, non è dato saperlo con certezza.
In un’intervista al Corriere Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha detto: “le nostre imprese sono esasperate da anni per gli ingenti sacrifici per rimanere sul mercato e fronteggiare eccessiva pressione fiscale e aumento dei costi di esercizio, innanzitutto, ma anche i mali cronici che affliggono le famiglie: una riduzione del reddito disponibile di oltre il 7% tra il 2007 e il 2011; l`aumento delle spese obbligate, dal 35% a quasi il 40% del totale dei consumi negli ultimi 10 anni; consumi pro capite in calo di oltre 3 punti dall`inizio della crisi ad oggi. Sono diventate condizioni insostenibili e per molte imprese questo è stato esiziale”.
E ancora: “L`evasione è un fenomeno trasversale che abbraccia tutta la società e i settori della nostra economia. Chi evade non solo mina alle fondamenta il patto di cittadinanza, ma agisce anche contro la crescita e lo sviluppo del Paese. Viceversa, occorre procedere con determinazione e con una sempre più mirata capacità d`accertamento per contrastare e recuperare evasione ed elusione. Detto questo, il dato medio dichiarato dalle imprese del commercio sulla base degli studi di settore risulta costantemente crescente”.