ROMA – Perché piangeva Luca Priolo nella stazione dei Carabinieri di Via Moscova a Milano? Non certo per Giordana Di Stefano la ragazza ventenne che aveva da non molto ammazzato a più e più coltellate. Non certo per la ragazza con cui aveva vissuto insieme e avuto una figlia. Non certo per la figlia di quattro anni. No, se ne può star certi: Priolo piangeva solo e soltanto per non essere riuscito a scappare in Svizzera.
Lo dicono i fatti, lo dice lo stesso assassino in fuga con un sms al padre. Luca Priolo è a Milano, alla stazione dei treni. Chiede a un passante il suo cellulare. Quindi ci ha pensato sopra, ha pensato che il suo di cellulare è meglio non usarlo per non farsi rintracciare. E’ sufficientemente lucido e freddo da chiedere a uno sconosciuto: mi presta il suo cellulare?
Lo ottiene e messaggia al padre: “Sono nei guai, aiutatemi e mandatemi dei soldi”. Non accenna a pentimenti, non è per nulla sconvolto. L’aver ammazzato la madre della figlia lo definisce “guaio” e la cosa che vuole è “soldi” per l’immaginata e progettata latitanza quando sarà all’estero. Luca Priolo ha in mente un piano di fuga. Non solo, ha in mente che l’aver eliminato quella donna ostinata nel non volerlo è un incidente, un guaio appunto, mica un delitto, un crimine.
E il padre di Luca Priolo si fa moralmente complice, lo richiama al telefono dello sconosciuto e secondo la ricostruzione dei carabinieri si offre di aiutarlo. Non è solo istinto e dovere paterno, è complicità morale nel considerare una donna ammazzata “un guaio”. D’altra parte la prima parte della fuga Luca Priolo non l’aveva fatta con la macchina della mamma?
Dietro, al fianco, sotto e sopra questo ultimo “femminicidio” ci sono diffuse ed enormi complicità. Nessuna penale ovviamente. Ma morali sì. La famiglia, le famiglie che pensano siano da aiutare i figlioli che ammazzano la donna renitente. “Un guaio”, come quando per improvvisa rabbia si stende al suolo con la vanga una giumenta che non sta alle redini. Le famiglie, gli amici, i conoscenti che regolarmente ricordano: “Nulla di strano, era un ragazzo tranquillo, magari un po’ geloso…”.
Le famiglie, gli amici, i conoscenti, la gente, i poliziotti, i giudici…Tutti noi maschi (e ancora qualche donna) troppo indulgenti nel considerare naturale questa prepotenza di possesso sulla donna che non ti vuole più. Nel considerare il femminicidio un dramma di cui vittima prima è la donna ma in fondo anche lui…
No, l’ammazzare la donna che non vuole essere più tua proprietà non è un dramma, è uno schifo. E’ un atto infame, un crimine infame. Di quelli che si dovrebbero definire e si dovrebbero aggravano per “bieche e luride motivazioni”. Chi ammazza la donna che non vuole essere più di sua proprietà è killer, boia, schiavista e nemico della sua stessa prole. Non merita indulgenza e aiuto né dalle leggi né dalle famiglie né dalla comunità. Perché, come esemplifica la storia di Luca Priolo, della sua fuga, del suo sms, il femminicida è quasi mai un uomo disperato in preda a raptus e quasi sempre un mini uomo che vuole vendicarsi, col sangue anche dei figli, della sua mini virilità offesa.