ROMA – In Italia muore durante il parto una donna su diecimila che diventano madri. Succede circa cinquanta volte l’anno in media. E’ successo in sequenza cinque volte negli ultimi giorni. Quattro volte in altrettanti ospedali, una volta la donna deceduta era invece a casa.
Comprensibilmente, umanamente ogni volta che accade i parenti pensano, sospettano che la loro perdita, il lutto che subiscono sia responsabilità, anzi colpa di qualcuno. Quasi nessuna mente umana, diciamo pochissime, accettano la possibilità reale che uno di quei cinquanta casi all’anno riguardi proprio la propria famiglia. La morte, l’esito infausto di una gravidanza sono state cancellate dall’elenco delle possibilità reali. Così ragionano e sentono i parenti colpiti, così ragioniamo e ragioneremmo tutti noi.
E invece questa certezza che se va male è colpa di qualcuno è infondata proprio in quanto certezza. Di parto si può ancora morire anche se ospedali e medici fanno tutto, tutto il possibile per te. Tragicamente l’illusione della invulnerabilità, immortalità da parto tranne mala sanità nasce proprio dalla sanità e dalla medicina che hanno ridotto la morte da parto a pochissimi casi: uno su diecimila appunto.
Succede una volta su diecimila, ma quando succede invariabilmente i parenti “vogliono la verità”, denunciano “trascuratezze”, assicurano “stava benissimo”, diagnosticano errori medici, individuano “negligenze”. Quando non direttamente urlano “ce l’hanno ammazzata”. Il dolore, lo choc. E una cultura diffusa secondo la quale la morte stessa è errore, fallimento e ha perso, l’abbiamo spogliata di ogni oggettività espellendola dal novero degli eventi naturali.
Il grido accusatorio dei parenti ha molte spiegazioni e va in certa misura compreso. Gridano alla mala sanità che uccide o trascura i loro cari anche quando la struttura sanitaria e i medici hanno cercato di porre riparo a situazione compromesse (40 chili presi in gravidanza) o ad eventi clinici che la medicina contemporanea non governa. Per quanto infondata sia la cultura che prevede la guarigione e la salute come merci che compri dal medico o dall’ospedale e che non possono non essere fornite, per quanto irreale sia la pretesa che a te e ai tuoi cari non tocchi mai, il grido del parente colpito alla mala sanità va capito, compreso, accettato.
Ma non dovrebbe essere diffuso aggiungendoci, stampigliandogli sopra il timbro della verità, della realtà effettuale, della “notizia”. I giornali, le televisioni, le radio non sono i parenti colpiti e il loro grido alla mala sanità ogni volta che muore una partoriente è incosciente, irresponsabile e nocivo. Può accadere che una morte sia frutto di incuria o di errore medico, può accadere. Ma ogni volta che uno muore far partire in automatico la sequenza della mala sanità è, semplicemente, mala informazione.
Con, neanche tanto alla lunga, pesantissimi effetti collaterali. Tra i giovani studenti di medicina, tra i nuovi medici è ormai l velocemente in ribasso la quota di coloro che scelgono di fare il ginecologo o il chirurgo. Perché? Perché ogni volta che la medicina non guarisce a pieno, non salva, non esaudisce le aspettative si viene denunciati, si finisce in Tribunale, si deve vivere con il pubblico sospetto di essere o degli incapaci o degli insensibili scansafatiche. Interi studi professionali di avvocati si sono specializzati nella semina e raccolta di insoddisfatti e delusi che, talvolta a ragione, molto più spesso a torto, si sentono vittime della mala sanità. Ovviamente da risarcire.
Comunque e purtroppo nulla di nuovo sotto il sole: era ad esempio il 1603 quando a Modena su denuncia di un papà veniva processata per stregoneria una levatrice. Le levatrici incorrevano spesso in questa accusa perché se il bambino nasceva morto o storpio o se la mamma moriva spesso c’era chi diceva, sospettava che fosse stato mal volere della donna che presiedeva al parto. Si torna alle vecchie care abitudini, al vecchio caro pensiero magico dopo una parentesi mai davvero totale di fiducia nel pensiero scientifico razionale. Nulla di nuovo, però qualcosa di peggio: quando si processavano le streghe non c’erano giornali e tv e radio che titolavano “Streghe”.