Marcegaglia Spa: licenziamento lunare per due scarpe vecchie. Parola di giudice

RAVENNA – In Marcegaglia Spa un licenziamento che il giudice chiamato ad occuparsene definisce “lunare”. Marcegaglia Spa, una delle aziende del gruppo. Non proprio direttamente Emma Marcegaglia, non è sua la diretta responsabilità. Però torna alla memoria inevitabilmente come l’ex leader di Confindustria aveva, da viale dell’Astronomia, duramente criticato e condotto una lunga e a tratti quasi solitaria battaglia per la riforma dello Statuto dei Lavoratori. Con particolare attenzione all’articolo 18.

Emma è tornata a guidare il suo gruppo industriale e in una Marcegaglia Spa è stato licenziato un addetto alle pulizie, padre di tre figli, di cui uno portatore di handicap. Un dipendente, quello licenziato, separato e sotto sfratto, reo di aver “rubato” degli stivali da lavoro abbandonati e di averli dati ad una collega che non ne aveva. Licenziamento definito dal tribunale che ha ordinato il reintegro del lavoratore, appunto “lunare”. Gli scarponi da lavoro erano abbandonati, nessuno li ha rubati, tanto meno sottratti.

“L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è un’anomalia italiana” e va superato. I datori di lavoro “vogliono poter licenziare le persone che non fanno bene il loro mestiere”. Se con questo intendono ad esempio licenziare un addetto alle pulizie che si appropria di un paio di scarpe da lavoro, abbandonate su un davanzale e zuppe d’acqua, e invece di buttarle le regala ad una collega che non le ha, allora non vogliono il governo efficace e d efficiente della forza lavoro, vogliono l’arbitrio per legge e il diritto di licenziare anche per sfizio oltre che per giusta causa.

Ladro quell’addetto alle pulizie? Da  licenziare, da cacciar via come un ladro? Il “lunare” licenziamento è opera di un’azienda della suddetta Marcegaglia e la definizione “lunare” è invece del giudice che ha ordinato del lavoratore il reintegro.

Marco (nome di fantasia) lavora, anzi lavorava, in una fabbrica di un grande gruppo industriale. Paletta, strofinaccio e scopa erano e sono i suoi strumenti di lavoro. Si occupa, chiaramente, di fare le pulizie. È padre di tre figli di 6, 12 e 18 anni di cui uno disabile, racconta il Corriere della Sera. È separato e a rischio sfratto a causa degli affitti non pagati dall’ex consorte che non lavora. Il 17 gennaio scorso Marco, pulendo come sempre i pavimenti, trova fuori da una finestra un paio di scarponcini da lavoro antinfortunistici. Hanno passato un giorno e una notte sotto la pioggia e molti di noi, probabilmente, li avrebbero per questo buttati. Ma Marco non lo fa. Li prende, li asciuga e li regala ad una collega che fa il suo stesso lavoro ma per una ditta appaltatrice. Quindi se possibile in condizioni ancora più disagiate rispetto a quelle di Marco. La collega in questione infatti non ha la fortuna di essere stata dotata di scarpe da lavoro. Comportamento, quello di Marco, evidentemente irresponsabile ed intollerabile per l’azienda che, prontamente, lo licenzia per giusta causa o, “in subordine per giustificato motivo soggettivo”, cioè il furto.

La vicenda finisce, come era facilmente prevedibile, in tribunale dove il giudice ordina l’immediato reintegro di Marco. Definendo la richiesta della Marcegaglia Spa “quasi lunare per la leggerezza che la distingue e per la distanza siderale in cui si pone rispetto ad ogni ordine di grandezza e proporzione”.

Ed effettivamente le motivazioni presentate per il licenziamento solo “lunari” possono essere definite. Non esiste né giusta causa né giustificato motivo e anzi, quello che emerge leggendo la storia professionale di Marco, è un sospetto che nulla ha a che fare con giuste cause o con furti. Marco, si scopre solo dalla sentenza, è infatti candidato alle elezioni interne della Fiom. E se a pensar male si fa peccato, come recita una dei più celebri aforismi attribuiti al “divo Giulio”, ma spesso ci si azzecca, diventa più che ragionevole supporre che non per gli scarponi ma per l’impegno sindacale Marco sia stato messo alla porta.

Con questa sentenza però una nuova interpretazione dell’articolo 18 è stata stabilita. La riforma dello Statuto dei Lavoratori prevedeva infatti che 12 o 24 mensilità venissero riconosciute al lavoratore licenziato, ma non il reintegro. Scrive il Sole 24 Ore:

“Il Tribunale di Ravenna fornisce una interpretazione in senso ampiamente garantista e favorevole per la cosiddetta ‘parte debole’ del rapporto di lavoro, sostenendo che si ha insussistenza del fatto contestato solo se il comportamento inadempiente ascritto al lavoratore, benché accertato nella sua componente materiale, non ha una rilevanza giuridica qualificata. Così, si afferma che, nella scelta tra reintegrazione o indennizzo risarcitorio il giudice investito della controversia non può limitarsi al mero fatto ipotizzato e contestato dal datore di lavoro. Deve invece esaminare lo stesso fatto in relazione alla nozione di giusta causa, per valutare, quindi, se il comportamento sanzionato integra gli estremi della lesione irreparabile del vincolo fiduciario. Non ricorrendo quest’ultima condizione, a parere del Tribunale di Ravenna, il fatto contestato risulta per ciò stesso insussistente, con conseguente diritto del lavoratore alla reintegrazione”.

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