ROMA – Sulle vetrine delle agenzie di viaggio, in questo periodo dell’anno, fioccano le offerte per le prossime vacanze natalizie. Montagne imbiancate per un Natale sulla neve o affascinanti mete esotiche. Per chi se lo può permettere anche in tempi di crisi, c’è l’imbarazzo della scelta. Quest’anno poi il Kenia, Malindi e dintorni, sono a prezzi stracciati. Peccato che si sia un motivo, e quel motivo si chiami guerra. Una guerra semisconosciuta che i media non pubblicizzano e che ha come protagonisti Kenia e Somalia, con la partecipazione di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. E guerra che vede, nei turisti occidentali, se non il motivo principe del conflitto, almeno il casus belli. Per questo Natale quindi, se proprio non potete rinunciare al Kenia, meglio lasciar perdere le acque cristalline e puntare sul safari all’interno.
Il 16 settembre scorso, in uno dei resort più lussuosi dell’arcipelago di Lamu, frequentato solitamente da Sting e Lady Gaga, un turista inglese è stato ucciso dagli shabab somali e sua moglie sequestrata. Un paio di settimane dopo ad essere rapita è stata una donna francese paraplegica, morta una settimana dopo. Poi è stata la volta di due spagnole di Medici senza Frontiere in un campo profughi somalo in territorio keniota. Ultimi episodi, ultime manifestazioni di un problema più antico che nasce lungo il confine di due Stati molto diversi tra loro: Kenia e Somalia. Il primo ricco (almeno su scala africana) e democratico, e il secondo imprigionato tra una guerra civile infinita e carestie. Due realtà inevitabilmente in attrito, con le bande di miliziani integralisti somali che, seguendo l’esempio dei loro connazionali pirati, hanno pensato di arricchirsi puntando sui rapimenti. E oggetto delle loro attenzioni sono quindi diventati i lussuosi resort e le ricche ville che punteggiano la costa nord del Kenia, proprio a ridosso col confine somalo. Risultato fuga e cancellazioni di massa da parte dei turisti occidentali, giustamente, spaventati, e conseguente reazione da parte di Nairobi che ha, nel turismo, una delle sue maggiori fonti di denaro.
I kenioti hanno quindi deciso, con l’appoggio di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, di bombardare le basi, i villaggi in territorio somalo dove si nascondo i responsabili degli attacchi e di varcare il confine col loro vicino con i blindati. Contemporaneamente hanno anche dato il via all’arresto di molti somali “sospetti” in territori keniota. Questo perché il nascente conflitto è inevitabilmente cavalcato dall’integralismo islamico che anima molte della fazioni in guerra in Somalia, e quindi anche le milizie che hanno sconfinato in Kenia. Con il rischio, non ipotetico ma già reale, di ritorsioni di tipo terroristico. Contro gli occidentali ma contro gli stessi kenioti. Attentati si sono già registrati infatti contro una discoteca, un terminal di autobus e contro diverse auto nel nord del Kenia, causando una quindicina di morti e una cinquantina di feriti.