ROMA – Per il premier Mario Monti le “conseguenze umane”, leggi suicidi, della crisi economica ricadono su chi ha portato il Paese in queste condizioni. Il Pdl, sentito chiamatosi in causa, non l’ha presa bene chiedendo a gran voce pubbliche scuse e ammenda, con tanto di interrogazione parlamentare presentata dai “falchi” del Popolo della Libertà. Un tema, quello dei suicidi, su cui si sta consumando il momento più difficile dei travagliati rapporti tra berlusconiani e il governo Monti. Peccato che sia un tema senza riscontri statistici nella realtà: un conteggio, tanto sorprendente quanto autorevole, arriva alla conclusione che in Italia ci si toglie la vita nell’economicamente durissimo 2012 tanto quanto nel 2009 quando sembrava la crisi scemasse.
Dunque a quanto calcola e mostra il sociologo Marzio Barbagli, non l’ultimo arrivato, una dei primi a calcolare contro corrente l’esatta e crescente incidenza del delinquere da parte degli immigrati, sia il premier che il principale partito che lo sostiene, i giornali e gli organi di informazione tutti, la società civile e i semplici cittadini si stanno arrovellando e stanno discutendo su un qualcosa che non esiste: non i suicidi che ci sono eccome con tutto il loro carico di dolore e dramma. Quel che non c’è dice Barbagli è il boom numerico dei suicidi, dando corpo al sospetto che si tratti di fenomeno tanto mediatico e politico quanto poco reale reale. I suicidi ci sono, ma non sono né più né meno di quelli registrati negli anni passati. Di diverso c’ è l’attenzione spasmodica di giornali e tv e agenzie di stampa per chiunque si tolga la vita, tenti o minacci di farlo, accadeva una volta per le notizie di cosiddetta criminalità diffusa e minore, come scippi e furti in appartamento. E di nuovo, assolutamente nuovo c’è l’uso politico dei suicidi.
Tradurre in numeri storie drammatiche come quelle che hanno come epilogo il suicidio rischia di apparire cinico e indelicato. Ma trasformare in statistiche queste storie serve ad avere una visione più obiettiva del fenomeno, una visione che in Italia tutti sembrano aver smarrito. Una visione gonfiata in primis dagli organi di stampa: non è cambiato il numero dei suicidi, è cambiato il modo di raccontarli e la quantità di quanti ne finiscono nelle cronache. Questo ha innescato un circolo vizioso che nessuno ha saputo interrompere. I cittadini, leggendo i giornali, hanno avuto la sensazione che il numero di persone, disperate per motivi economici, sia aumentato. E nessuno, partiti e nemmeno governo, ha avuto la capacità di analizzare i dati. Si sono tutti lasciati trascinare dall’onda, portando persino un esecutivo accusato di essere spesso troppo algido a scontrarsi col Pdl su questo tema.
Così conta e racconta il sociologo Marzio Barbagli, sostenuto da diverse ricerche, non ultima quelle dell’Istat. Barbagli non è certo l’ultimo arrivato, ha pubblicato moltissimi libri e ha sempre sostenuto che i numeri non si devono piegare alle opinioni. Lui, Barbagli, di sinistra, quando dalle statistiche è uscito che gli stranieri delinquevano più degli italiani non ne ha fatto mistero. Ha semplicemente illustrato quello che era un dato di fatto. E così oggi: “non c’è nessuna emergenza suicidi dovuta alla crisi economica e non ci sono evidenze scientifiche che provino un qualche aumento. Italia e Grecia sono i Paesi più aggrediti dalla crisi, ma anche quelli dove ci si suicida meno rispetto al resto d’Europa”. Un’affermazione dirompente in un panorama dove il tema suicidi è diventato quasi il tema principale del dibattito politico. Un’affermazione supportata però da diversi studi.
I 38 suicidi tra piccoli imprenditori contati dalla Cgia di Mestre dall’inizio dell’anno “non rappresentano un’anomalia a fronte delle 1300 persone circa che nello stesso periodo si sono tolte la vita in Italia. I suicidi in questa categoria sociale c’erano anche negli anni passati, più o meno con la stessa frequenza”. I dati delle autorità sanitarie sulle cause di morte in Italia e in Grecia avallano l’analisi: il tasso di suicidio nel nostro Paese nel 2009 era di 6,6 – cioè 6,6 casi ogni 100 mila abitanti – per un totale di circa 3800 l’anno. In media con il passato. In Grecia, nello stesso anno, il tasso era persino più basso, al 3,5. Il 2009 non è il 2012, ma era già un anno di crisi, anzi è stato l’anno in cui tutto è cominciato, “le difficoltà economiche – precisa Barbagli – partono già nel 2008 con il caso Lehman. In Grecia nel 2009 il pil calò di 5,4 punti, la disoccupazione passò dal 7,7 al 9,5 per cento. Eppure i suicidi furono 391, meno del 2006”.
E se i dati delle autorità sanitarie si fermano a tre anni fa, nella stessa direzione vanno i risultati dell’ultima indagine dell’Istat, pubblicata sull’edizione online di Wired e ripresa da Repubblica. Nel 2010 l’Istat ha contato 3048 suicidi: 1412 per malattia, 324 per cause affettive e 187 per motivi economici. Nel 2009 i suicidi per motivi economici erano stati 198 su 2986. Numeri che dicono che non c’è un’emergenza suicidi, e lo dicono chiaramente. Qualcuno lo dica a Monti, a Berlusconi e a tutti gli altri.
I commenti sono chiusi.