Patrimoniale a quanti euro si paga? 800mila, 1.500.000 o due milioni?

Mario Monti dentro Palazzo Chigi (Lapresse)

ROMA –Patrimoniale, ma per chi? Chi la paga? Quelli sopra gli 800mila euro come dice la Cgil e sussurra il Pd? Quelli sopra il milione e mezzo come dice Confindustria? Quelli sopra i due milioni come dice il Pdl? E patrimoniale piccola, 0,5 per mille ma ogni anno, oppure due per cento ma una tantum? E patrimoniale più Ici oppure no? Oppure incrociate in modo da non sovrapporsi e non sommarsi in tutti i casi? E l’Imu che scatta dal 2012, made in governo Berlusconi, che l’Ici in qualche misura la reintroduce fin da gennaio? Mario Monti deve trovare, per via di patrimoniale e di Ici, sia i soldi che l’esatta tollerabilità e distribuzione sociale e politica della nuova tassa. Se mette i pesi al posto giusto, la schiena del paese fatica ma tiene, se sbaglia dove poggiare il sasso la schiena collettiva si spiega e si spezza, suo governo compreso.

Da un governo all’altro un dato non cambia: l’assoluta necessità di reperire risorse per mettere in sicurezza i conti e il debito pubblico italiano. E quando l’erario va a caccia di denaro, e in particolar modo quando come ora bisogna farlo in fretta, il bersaglio primo e ideale non può che essere il mattone. D’altra parte lo dice la parola stessa: immobili, quindi impossibili da nascondere. E se nei tre anni e mezzo del governo Berlusconi il mattone residenziale ha avuto un trattamento di favore, perché i proprietari della casa in cui vivono non pagano più neppure l’Ici, mentre chi trae un reddito dalla casa affittandola paga la cedolare secca, in qualche caso riuscendo addirittura a dimezzare le imposte rispetto al versamento di Irpef e imposta di registro, è arrivato ora il momento di tornare a “lavorare” su questo tipo di beni. Le strade sono due, non necessariamente alternative e forse complementari: Ici e/o Patrimoniale.

L’ultimo raffronto fatto dal Fondo monetario nel 2010 su dati del 2007 – quando ancora c’era l’Ici sulla prima casa – dice che in Italia il peso delle imposte sui patrimoni, con la sola eccezione della Germania, resta fra i più bassi del mondo. Se in Italia quel tipo di imposta valeva il 2,1% del prodotto interno lordo, negli Stati Uniti era il 3,1%, in Gran Bretagna il 4,5%. Che una forma di tassazione sui beni immobili quindi sia necessaria, è un punto su cui concordano praticamente tutti, da Monti ai partiti, dalla Cgil a Confindustria. Quello su cui si discute è il come, il quanto e il per quanto tempo. E qui le ricette sono diverse.

Confindustria non vuole la reintroduzione dell’Ici e propone l’1,5 per mille annuo sui patrimoni superiori a un milione e mezzo di euro, la Cgil chiede l’1% annuo sui patrimoni superiori a 800mila euro e l’Ici sulla prima casa, il Pdl pensa ad una soglia di partenza di due milioni di euro di patrimonio. Guido Tabellini, il papabile ministro dell’Economia, ha più volte proposto una soluzione intermedia che, a differenza di una patrimoniale «alla francese» (lì si paga sopra 1,3 milioni di patrimonio), colpirebbe anche la rendita immobiliare: una tassa del cinque per mille annuo sui patrimoni finanziari e le rivalutazioni delle rendite catastali.

Conta poi molto anche il fattore tempo: in altre parole la scelta tra una tassa “secca” o al massimo per “x” anni, una sorta di tassa a termine, o una tassa da oggi e per sempre. Nel primo caso sarebbe, necessariamente, più alta, e servirebbe a correggere rapidamente i conti evitando di innalzare la pressione fiscale, essendo un intervento “eccezionale”. Ma la seconda versione, quella della tassa a tempo indeterminato, avrebbe il doppio vantaggio di incidere meno sulle finanze delle famiglie e garantire gettito sicuro, ottimo per rassicurare i mercati.

Come detto però Patrimoniale ed Ici non sono necessariamente alternative. Certo, l’introduzione simultanea dei due balzelli, non potrebbe e non dovrebbe prescindere da alcune garanzie. Non si può pensare ad esempio Patrimoniale ed Ici che gravano, entrambe, sulla prima casa, non si può cioè colpire due volte lo stesso bene e non si possono non tutelare, come Monti nel suo discorso d’accettazione con il richiamo all’equità sociale ha ricordato, le fasce più deboli.

Se di Patrimoniale si parla, in tema di Ici, anche se in pochi lo sottolineano, in verità qualcosa si è persino già fatto. Nella lettera di risposta all’Ue sui 39 quesiti posti la scorsa settimana, Giulio Tremonti ha ricordato che la reintroduzione dell’Ici varrebbe 3,5 miliardi l’anno e, nella stessa lettera, ha ricordato anche un altro dettaglio: con l’introduzione dell’Imu – Imposta municipale unica – il governo ha già previsto la reintroduzione la tassazione sulla prima casa già dal prossimo anno, il 2012. Lo ha fatto dopo le proteste dei Comuni per i troppi tagli nella manovra estiva e successivamente nel decreto del 24 ottobre che (in via preliminare) modifica la legge sul federalismo fiscale. «Il decreto – si legge nella lettera – prevede una diversa forma di tassazione dei servizi offerti dai comuni agli occupanti di proprietà residenziali, anche nel caso che queste vengano usate come prima casa». Insomma, il ritorno dell’Ici è già praticamente stato messo nel conto.

Altre tema importante è la rivalutazione delle rendite catastali, rendite oggi molto lontane dai valori degli immobili con un rapporto di circa 1 a 3, e rendite su cui si calcolano tutte le imposte, presenti e future, degli immobili stessi. Il ministero dell’Economia sa perfettamente che gli imponibili catastali sono molto lontani da quelli reali, ma una revisione mirata immobile per immobile del valore fiscale aprirebbe la stura a un contenzioso ingestibile (le revisioni individuali dei valori di estimo sono infatti impugnabili dal contribuente) e anche altre ipotesi di revisione radicale della fiscalità immobiliare hanno il difetto di richiedere quei tempi lunghi che i mercati finanziari internazionali proprio non sembrano disposti ad aspettare.

 

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