Pd, le primarie a perdere del partito più pazzo del mondo

LaPresse

ROMA – Potrebbe essere il canovaccio per un film di Mel Brooks: Il partito più pazzo del mondo. Ma non lo è, solo di semplice cronaca si tratta. Il partito in questione è, se mai aveste dubbi, il Pd. E la sua follia, almeno quella più prossima e manifesta, è rappresentata dalle primarie che presto si terranno o forse non si terranno, di preciso loro non lo sanno. Primarie che invece che di partito saranno di coalizione, primarie che indicheranno un candidato premier anche se, forse, non si voterà con una legge elettorale che richieda il nome del candidato premier e primarie che, caso più unico che raro, servono storicamente a dividere più che unire i democratici. Esattamente il contrario rispetto a quella che sarebbe la loro naturale missione. Primarie a perdere pazienza e logica, serenità e unità, base e gruppo dirigente. Primarie a perdere ma fortemente così volute dalla gente del Pd, dalla sua pubblica opinione, dalla sua coscienza (eticamente buona quanto marxianamente falsa), altrimenti che partito più pazzo del mondo sarebbe?

Il partito più pazzo del mondo, nella liturgia delle primarie a perdere, gode anche di un’altra singolarità assoluta nel panorama politico italiano contemporaneo: l’omogeneità d’intenti tra base e vertice. Base e vertice non si fidano più tanto reciprocamente ma le primarie tutto rifondono e saldano, nel Pd questa scollatura magicamente svanisce. Tutti le vogliono le primarie, da Bersani sino all’ultimo elettore. Tranne qualche decina di Rosy Bindi, tutti le vogliono come alto momento di democrazia. E fin qui…Però le vogliono rigorosamente a perdere…E da qui in poi parte la follia.

Le primarie, a rigor di logica, servirebbero ad eleggere il campione di una parte politica (partito appunto) da presentare alle elezioni. Un processo utile e nato per unire. Un processo attraverso cui le minoranze possono esprimere la loro posizione e che, dopo il responso delle urne, compatta tutti, maggioranza e minoranze, nel sostegno al campione. Nel Pd no. Niente di tutto questo. Le primarie non sono di partito ma aperte a tutti, una sorta di primarie di coalizione allargate. E il risultato, come la cronaca insegna, spesso non unisce ma divide. Ultimo caso le elezioni del sindaco di Palermo.

Ma andiamo per gradi. Fare delle primarie di coalizione, per quanto insolito, può aver senso con l’attuale legge elettorale. Indicare il nome del leader della coalizione, e candidato premier, è un’esigenza dettata dall’attuale normativa. Eppure le cronache politiche dicono che forse con questa legge non si voterà, tutti si professano concordi nel volerla modificare. E allora? Allora forse la legge non verrà cambiata oppure al Pd poco importa di quale legge ci sia. Via quindi alle primarie allargate. Ed essendo di coalizione possono giustamente parteciparvi tutti, e non solo gli esponenti del Pd. Può candidarsi Vendola che infatti c’è. Ma poteva esserci anche Di Pietro che non c’è quasi per caso. E se voleva poteva esserci anche Casini, al limite anche Grillo, perché no? Sono le primarie di una coalizione che sceglie il suo candidato premier, quindi dentro tutti quelli che formano la coalizione. Ma a me elettore potenziale delle primarie qualcuno me lo dice prima qual è la coalizione? No, l’importante è votare non capire perché.

Alle primarie del Pd partecipano dunque altri schieramenti che Pd non sono. Nonostante questo però i democratici sono indubbiamente il partito più forte della coalizione e, di conseguenza, dovrebbero essere in grado di esprimere un candidato anche lui più forte rispetto agli antagonisti presentati da Sel, Idv o chi che sia. Ma non è detto fino in fondo sia così. Altrimenti non sarebbe il partito più pazzo del mondo. Il Pd ha infatti ereditato un’antica predisposizione della sinistra italiana al litigio, alla frammentazione e alla divisione. E le primarie non sono un’occasione per unire, ma spesso somigliano più ad una resa dei conti. Ecco quindi che alle urne, mentre Sel presenta un candidato, così come chiunque sia dotato di buon senso, il Pd ne presenta due, tre o anche più. Per ora siamo a Bersani più Renzi più Tabacci, ma non è detto sia finita. a Con l’ovvio risultato che i voti pd si disperdono e a vincere potrebbe essere non il rappresentante del partito più forte, ma un altro. In concreto oggi i sondaggi accreditano Bersani di un 50% abbondante, Renzi di un 25% e Vendola di un 20%. Se arrivano altri del Pd a diminuire non sarà certo la percentuale di Vendola. E anche vincesse, Bersani lo farebbe con meno del 50%, sai che viatico per Palazzo Chigi! Con la conseguenza ulteriore che gli elettori del Pd si ritrovano poi, alle elezioni vere, a dover votare un candidato di un altro partito della coalizione, un partito che nella coalizione è minoranza.

Qualcuno potrebbe suggerire le primarie a doppio turno, oppure le primarie delle primarie interne al Pd, ma nemmeno Mel Brooks oserebbe tanto. Eppure, nonostante tutto questo le primarie le vogliono tutti. Le vogliono perché si fanno in America e si fanno in Francia. Le vuole la base come il vertice. Le vogliono perché sono espressione di democrazia. Tutti le vogliono ma, per dare un’idea di quale effetto reale abbiano le primarie in casa Pd, senza andare indietro nel tempo, basta guardare il clima che si respira in questi giorni tra i democratici.

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi, del Pd, presenterà la sua candidatura alle primarie. D’Alema, anche lui del Pd, dice che “Renzi non è adatto a governare”, eppure fa il sindaco. Fioroni, Pd anche lui, chiede le dimissioni da sindaco di Renzi qualora insistesse con la candidatura. Una lotta intestina ferocissima che farà di Renzi, probabilmente, il candidato in casa Pd che raccoglierà più voti dopo Bersani. Più voti di quanti si potevano aspettare prima della quarantena stesa dal Pd intorno a Renzi. A discapito di Bersani che del Pd sarebbe il segretario. Una lotta che però non gioverà né all’uno né all’altro. Non si arriverà a premiere il più classico dei terzi incomodi, magari Vendola, regalandogli la vittoria alle primarie e la candidatura a premier. Su scala locale è già successo ma stavolta a tanto non si arriverà. Eppure in teoria è ormai possibile, infatti sono le primarie pazze del partito più pazzo del mondo. Quello che chi non lo conosce racconta come un partito che ha già deciso: Bersani premier, Bindi vice premier. D’Alema agli Esteri o in Europa, Fiorini ministro…Bersani smentisce tutto come invenzioni, non ce n’era bisogna: chi conosce il Pd sa che il partito non è così “noioso” da concepir e rispettar piani per i prossimi otto mesi, facciamo i prossimi otto giorni?

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