Pensione non uguale per tutti: statale dribbla Fornero, privato no

Elsa Fornero (LaPresse)

ROMA – Di fronte alla legge siamo tutti uguali, ma c’è sempre qualcuno che è più “uguale” degli altri. E in tema pensioni i dipendenti statali sono avviati ad essere più uguali di quelli pubblici visto che, grazie alle norme contenute nella spending review, potranno andare in pensione con le vecchie regole sino al 2014. Gli statali quindi “dribblano” la riforma Fornero, almeno per qualche anno, mentre i privati no.

Tra le misure contenute nel decreto che mira a ridurre la spesa pubblica è prevista la riduzione del numero enorme dei dipendenti pubblici, ora 3 milioni 250 mila, che dovranno scendere sotto la soglia dei 3 milioni con un taglio del 20% dei dirigenti e del 10% degli impiegati. Tra le strade per raggiungere questo risultato la mobilità obbligatoria e i prepensionamenti o l’accompagnamento alla pensione a condizioni vantaggiose. Così entro la fine di quest’anno dovrebbero andar via 6/7 mila persone. E forse anche di più visto che, tra freni al turn over e blocco dei concorsi, i dipendenti pubblici italiani sono piuttosto anziani: età media 48 anni e solo il 9% sotto i 35.

 “Per ridurre il numero degli statali il governo ricorrerà anche a una deroga alla riforma della previdenza, per mandare i dipendenti pubblici ‘in soprannumero’ in pensione con le vecchie regole a patto che le raggiungano entro il 31 dicembre 2014 – scrive Enrico Marro sul Corriere della Sera – Del resto, si faceva osservare, è vero che lo Stato pagherà delle pensioni in più, ma risparmierà sugli stipendi una somma maggiore e quindi l’operazione sarà conveniente oltre che necessaria a snellire e ringiovanire la burocrazia. (…), si rischia di instaurare regole previdenziali diverse nel triennio 2012-2014, favorevoli ai dipendenti pubblici. È vero che in passato era così. Ricordate le pensioni baby? Ma dal 1992 (riforma Amato), passando per le riforme Dini, Ciampi, Prodi, Sacconi e finendo con Fornero, si è compiuto un lungo e faticoso processo di unificazione dei regimi previdenziali che rispondeva a criteri di equità prima ancora che di finanza pubblica. Ora reintrodurre una disparità di trattamento contraddirebbe tutto questo”.

Conveniente quindi dal punto di vista economico per lo Stato e conveniente per i pubblici pensionandi che potranno usufruire delle vecchie regole mandate in soffitta dalla riforma Fornero, ma ingiusto. “Perché allo statale sì e a me no?” potranno a ragion veduta domandarsi i dipendenti del settore privato costretti dalle nuove regole a lavorare più a lungo dei loro colleghi. Il dipendente pubblico in esubero avrà infatti ben tre anni in più per maturare i vecchi requisiti e andare in pensione prima, in alcuni casi molto prima, mentre nel privato questa possibilità è stata concessa solo a chi raggiungeva i vecchi limiti entro il 2011. Nel tentativo forse di non scontentare tutti il governo dice che con lo stesso decreto sulla spending review si garantirà la copertura per mandar via altri 55mila “esodati”, dopo i 65 mila già coperti, anche se matureranno i requisiti dopo il 2011. È una buona notizia certo, che però non cancella la disparità di trattamento.

Un recente studio della Banca d’Italia ha inoltre dimostrato che i dipendenti pubblici guadagnano in media più di quelli privati: 14% in più per le donne e 4% per gli uomini. Lavoratori pubblici più “uguali” di quelli privati come stipendi e come pensioni, con i primi che sono riusciti persino a schivare per un triennio la tanto vituperata riforma Fornero. Ma potrebbe essere però per gli statali una sorta di canto del cigno, tre le novità introdotte con la spending review infatti ce n’è una che non piacerà certo ai dipendenti pubblici: la possibilità di essere messi in mobilità obbligatoria, prendere l’80% dello stipendio base (molto più basso di quello che porta a casa ogni mese) e anche essere licenziati. Una novità assoluta.

 

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