Il processo Ruby ter: i 32 sospetti di associazione per falsa testimonianza

berlusconi accigliato
Silvio Berlusconi (foto Ansa)

MILANO – Cosa hanno in comune una prostituta brasiliana, delle ex aspiranti miss, un ex direttore di telegiornale, un cantautore napoletano, tre parlamentari, un sottosegretario di governo, un maggiordomo e una poliziotta? Sembra l’incipit di una di quella barzellette tanto care a Silvio Berlusconi ma così non è. Hanno, i suddetti, in comune però proprio l’amicizia o la devozione nei confronti dell’ex premier. Così affezionati al Cavaliere che tanto affetto secondo i magistrati potrebbe essersi reificato, tradotto, mostrato sotto forma di  false testimonianze.

False testimoniane neanche episodiche, al contrario organizzate e di gruppo. Associazione per falsa testimonianza che, se c’è stata, rischia di portarli tutti a loro volta davanti alla giustizia, nel terzo capitolo della saga Ruby. Quello che si annuncia come il Ruby ter, il processo a chi avesse mentito per lui. Mentito per amore, fede, passione, soldi. Mentito non di getto o d’impulso ma, appunto, per associazione, calcolo e interesse.

Ruby una e trina, almeno nei processi. La condanna a sette anni di Silvio Berlusconi, con l’aggiunta dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ha messo la parola fine al primo dei processi che della ragazza marocchina prendono il nome. Ed era questo il “Ruby 1”. Il trio Fede-Mora-Minetti attende invece, con poche speranze, la sentenza nel processo che li riguarda e che verte, in larga parte, sugli stessi fatti. Ed è il “Ruby 2”. Ma la sequela di testimonianze fantasiose rese nel primo procedimento ha aperto la strada al “Ruby ter”. Potenziali imputati di questo terzo capitolo della saga tutti i testimoni che, secondo i magistrati, hanno reso in aula testimonianze concordate, spesso risibili. In primis le ex olgettine, oggi stipendiate dal Cavaliere-imputato con 2.500 euro al mese, ma anche una funzionaria di polizia, Giorgia Iafrate, l’ex direttore del Tg5 Carlo Rossella, alcuni parlamentari Pdl e l’attuale sottosegretario agli esteri Bruno Archi.

La sentenza emessa nel primo grado del “Ruby 1” porta infatti in dote quello che potrebbe diventare, anzi certamente diventerà, un nuovo processo. Un nuovo processo che coinvolgerà tutta o quasi la gente che popolava le notti di Arcore, quegli stessi che nel Ruby 1 sono sfilati nelle aule di giustizia vestendo i panni del testimone e che ora vi potrebbero ritornare sotto forma di imputati. Il tribunale composto da Giulia Turri, Orsola de Cristofaro e Carmen D’Elia ha infatti deciso trasmettere alla procura molti degli atti riguardanti le testimonianze rese al processo. Trentadue testimonianze per l’esattezza che la procura dovrà decidere se fossero false o reticenti.

“Tante le deposizioni – scrive Piero Colaprico su Repubblica – che in aula tentavano, senza riuscirci, e a volte seminando sconcerto, o involontaria comicità, di oscurare i fatti, i reati, la verità”.

Tra i testimoni che ora rischiano di divenire imputati spiccano la funzionaria della questura di Milano Giorgia Iafrate, quella poliziotta che disse ai magistrati milanesi: “Io, di fronte a decidere se lasciare la minore in una condizione non sicura”, quale lei riteneva una questura, “e di fronte al decidere di lasciare la minore ad una consigliera regionale votata dal popolo italiano, io ho ritenuto opportuno fare questa seconda cosa”. Seconda cosa che però non è contemplata dalla legge. Il nostro ordinamento infatti non prevede che un presidente del consiglio o chiunque altro possa modificare le decisioni della magistratura e, ad onor del vero, anche il buon senso farebbe ritenere una questura un luogo più idoneo per una minorenne rispetto alla casa di una prostituta.

E poi parlamentari pidiellini che ora dovranno dar conto delle proprie testimonianze. A cominciare dall’attuale sottosegretario agli esteri Bruno Archi e da Valentino Valentini, oggi deputato ma ex assistente, interprete e consigliere per le questioni internazionali di Berlusconi premier. In aula hanno provato a sostenere che con il Mubarak vero di quella “nipote” si era accennato ma non ci si era capiti. E poi l’onorevole Maria Rosaria Rossi: “Spogliarelli? Ma erano serate divertenti in cui le ospiti si toglievano gli abiti e rimanevano in costume da bagno”, aveva stragiurato attribuendosi persino una parte della paternità del termine “bunga bunga”, per definire “una serata meno politica e più divertente”. Dichiarazioni lontane anni luce dalle intercettazioni delle sue conversazioni con l’allora direttore del Tg4 Emilio Fede: “Anche stasera bunga bunga? Che palle… allora io stasera mi devo vestire da femmina… io però stasera a mezzanotte chiudo le camere, che lui domani deve lavorare”. E sempre il falso avrebbero dichiarato, sotto giuramento — è bene ricordarlo — l’attuale europarlamentare Licia Ronzulli (nei guai anche il marito Renato Cerioli), e l’ex consigliere regionale lombardo Giorgio Puricelli, già fisioterapista del Capo.

Lunga poi la lista di amici del Cavaliere che potrebbero ora veder aprirsi le porte del tribunale anche per loro. Dall’ex direttore del Tg5 e attuale presidente di Medusa Film, neanche a dirlo del gruppo Mediaset, Carlo Rossella, che ai magistrati parlò di “cene assolutamente conviviali”, precisando però che lui nella sala bunga-bunga scese e sostò solo “cinque minuti”, minuti in cui non vide “nulla di particolare”, sino al caposcorta Giuseppe Estorelli.

Serate normali hanno ribadito i testimoni in aula, ma – racconta Emilio Randacio su Repubblica – “una sera c’era anche l’amica di Nicole Minetti, Melania Tumini. La “doppia laureata”, che da quella serata così elegante, più che “briffata” uscì disgustata. Alla cornetta, la mattina dopo con il padre, altro non la definisce se non un vero “puttanaio”. Con l’ospite che anziché parlare delle crisi internazionali, della politica, “tocca questa e quella tra le cosce… Ne bacia una e, poi, un’altra, davanti a tutti… Capisco che uno ammicca e, poi, magari si apparta in una stanza con una, ma anche con cinque ragazze… Siamo tutti maggiorenni e consenzienti… Ma così, davanti a tutti…”. E poi il maggiordomo di Arcore, Lorenzo Brunamonti, il compagno di schitarrate Mariano Apicella e gli altri “musici” Danilo Mariani e Simonetta Losi. E ancora Giorgio Puricelli e Renato Cerioli oltre, nemmeno a dirlo, alle olgettine. Quella ventina di ragazze che ancora oggi sono stipendiate dall’ex premier, remunerate perché dopo lo scandalo non riescono più a lavorare. O così dicono.

Da quella de Conceicao che avvertì l’allora premier del fermo di Ruby e che la giovane marocchina ospitò sino alle gemelle De Vivo, passando per Raissa Skorkina e Marysthell Polanco. Cioè tutte le frequentatrici delle cene conviviali, alcune note prostitute, che al processo Ruby 1 non hanno convinto i magistrati, anzi.

L’elenco però non finisce qui. Anche l’ex legale di Ruby Rubacuori, ed ex tesoriere regionale lombardo del Pdl, rischia infatti un procedimento disciplinare. Il collegio presieduto da Giulia Turri ha infatti chiesto al Consiglio dell’Ordine di Milano di vagliare la posizione di Luca Giuliante per valutare se abbia realmente seguito il codice etico degli avvocati. Secondo la Corte, dalle intercettazioni captate nell’agosto 2010 dalla procura, Giuliante più che tutelare gli interessi della diciassettenne Ruby El Marough avrebbe infatti “tutelato” interessi di altri. Magari più potenti.

 Ed infine, e non potrebbe essere altrimenti, a rischiare è anche l’ex nipote di Mubarak. Come scrive ancora Colaprico:

“L’abbiamo vista in varie interviste, poi sulle gradinate del tribunale, infine in aula, al processo per prostituzione. Un fuoco d’artificio di “non ricordo” e “dicevo cavolate”, del tutto diverso dalla sicurezza con cui raccontava agli amici, e nelle telefonate intercettate, citate dai pm e molto meno dagli avvocati, della sua amicizia con Berlusconi, dei soldi promessi, dei regali che aveva ricevuto. Del suo rappresentare per il premier “non la pupilla”, ma “il culo”.

Trentadue sospetti di aver concordato e attuato falsa testimonianza. Se i sospetti dei magistrati corrispondessero alla verità sarebbe facile comprendere perché le “olgettine” abbiano in ipotesi mentito. Basterebbe seguire la pista dei soldi per avere credibile movente. Ma gli altri, i politici, i manager, i giornalisti? Tutta gente professionalmente qualificata che, nel caso, non avrebbe mentito per soldi. Lo avrebbe fatto per fedeltà, ritenendo la fedeltà a Berlusconi superiore a quella alla legge, ritenendo il dovere di salvare Berlusconi eticamente superiore al dovere della verità. Non mercenari quindi ma pasdaran, milizia volontaria e devota sarebbe ciò che unisce e affratella un Apicella e un Rossella.

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