Rete, Tweet: totem e tam tam delle tribù. E la politica “sente le voci”

ROMA – La Rete. Quella con la “R” maiuscola, quella attraverso cui 4 milioni di italiani ogni giorno si connettono. Ma anche quella che a cui altri 30 milioni di italiani accedono una volta al mese o meno. Questa Rete è diventata ormai un’entità politica, capace di condizionare l’esito delle elezioni e di orientare la scelta sul Capo dello Stato, e insieme un ente metafisico, per or ma solo per ora con la minuscola, cui alcuni si affidano in modo fideistico.

“E smettiamola con questi telefonini, la politica non si fa a colpi di tweet e di sms!”,  sbottava Pier Luigi Bersani, forse colui che più a caro prezzo ha pagato la nuova politica social. Il modo di comunicare è cambiato, questo è evidente. La rete, senza “R” maiuscola, i social network, gli hashtag e tutto il resto hanno oggi un peso decisivo in molte decisioni politiche. Il Movimento 5 Stelle, il secondo partito che per una manciata di voti venuti in più al Pd dalle circoscrizioni estere non è stato il più votato alle ultime politiche, non solo della rete tiene conto, ma nella rete è nato e in questa vive. Organizzato intorno al blog del suo fondatore Beppe Grillo, demanda alle consultazioni on line qualsiasi decisione. I suoi parlamentari, comprensibilmente, prendono ordini, indicazioni dal loro capo e dai loro followers, senza nemmeno immaginare che possa esistere chi non tweeta. È per i grillini internet non solo la personificazione della pubblica opinione, ma anche qualcosa di può, un qualcosa da accettare acriticamente. Se lo dice la Rete allora va bene.

La scelta del candidato Presidente Stefano Rodotà, presentata come scelta di popolo e come tale vissuta, è stata in realtà una scelta fatta da 48 mila aventi diritto al voto. Non proprio la rete, diciamo un’associazione dentro la rete: 48 mila aventi diritto a votare, sicuramente qualcuno in meno quelli che hanno votato Rodotà. Meno di 48 milla…una scelta poi presentata come l’unica e vera democratica, perché on line tra i grillini è quasi sinonimo di democratico. Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera: “la democrazia on line è un ponte sospeso nel nulla…”. Non proprio, se è “un ponte”, per ora somiglia più a ponte tibetano che al Golden Gate. Quanti hanno votato, chi, quali sono le percentuali sono dati oscuri, in mano a pochi eletti come Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Obiezione identica posta al tempo delle Parlamentarie ma mai risolta. Nonostante questo però è stata per i 5 Stelle una scelte della Rete e quindi del popolo. Anche se 4 milioni di utenti non sono il popolo e 50 mila votanti non sono nemmeno il popolo della rete. A domanda: quanti hanno votato per Rodotà, Grillo ancora domenica rispondeva un incredibile, ineffabile, pazzesco: “Non lo so”.

Non solo i grillini vivono però di Rete, e l’esclamazione di Bersani ne è la dimostrazione. Giovani generazioni di parlamentari, soprattutto Pd, nella rete sono immersi. Tweet e post di facebook hanno per loro un valore se non al limite del religioso, almeno pari a quello che della loro dirigenza politica. Dimostrazione ne è la cronaca dell’elezione presidenziale di questi ultimi giorni. Bersani e la segreteria Pd avevano dato indicazione di votare Franco Marini prima e Romano Prodi poi, mentre dalla rete arrivavano indicazioni differenti sotto forma di #nonvivotiamopiù e #nonfatelo. E Marini e Prodi non sono stati eletti.

Ma se la Rete è senza ombra di dubbio, come autorevoli sociologi, filosofi e semplici persone di buon senso riconoscono, una vera e propria rivoluzione nel mondo della comunicazione e della politica, è giusto identificarla con l’opinione pubblica e addirittura con la volontà popolare? Davvero la massa di tweet, post, video virali e simili rappresentano in pieno e in toto la società italiana? Davvero questa forma di comunicazione rimuove i filtri tra popolo e governanti? Come numeri no. In Italia circa 30 milioni di persone non si connettono che una volta al mese o meno. Milioni di italiani, ed elettori, che certo non contribuiscono e non esprimono la loro opinione tramite smartphone e facebook. Stimando poi quelli che quotidianamente utilizzano internet e i social network in circa 4 milioni di persone, meno di un decimo della popolazione nazionale, è evidente che la rete non è il popolo. Si può a buon diritto obiettare che le elité, per quanto il popolo della Rete si senta proprio delle élite lo sterminatore, rappresentano sempre una piccola fetta di popolazione. E la rivoluzione digitale, come tutte le rivoluzioni, potrebbe a buon diritto essere guidata dall’élite di 4 milioni di italiani che tramite la rete partecipano alla vita politica.

Attraverso la Rete è vero si formano opinioni, si organizzano manifestazioni e proteste, viaggiano informazioni e si fanno rivoluzioni. Credere però che questa dia voce a tutti o che, per quanto onnipresente e onnisciente, sia una sorta di divinità, è un errore. Mentre la rete e le possibilità che offre sono una risorsa. Filippo Ceccarelli su La Repubblica ripercorre i passaggi e gli incroci tra la volontà della Rete e quella del Parlamento nei giorni del voto sul Quirinale: intrecci e incesti. Intrecci e incesti tra la vecchia politica, quella delle “correnti di partito” e la nuova politica, quella dei messaggi “tribali” sui social network. “Segnali di fumo, tam tam che nella loro semplificta istantaneità vivono di pulsioni ludiche, proiezioni oniriche, vibrazioni ironiche e creative ma anche regressive e selvagge…”. Detto con linguaggio meno forbito di quello di Ceccarelli…cazzate. Esempio Sabina Guzzanti che twitta: “Grillo si è cagato sotto” e il portavoce Messora che replica: “Ragazzina, almeno tu…”. Aldo Cazzullo definisce la Rete un “Totem” cui non è il caso di attribuire poteri magici ma un potere religioso è comunque il caso di riconoscerglielo. E’ una storia nuovissima ma in fondo mica tanto: quando un ceto dirigente si squaglia diventa attento, sensibile, obbediente al suono dei tam tam e ossequioso alla cerimonia dei totem. Tam tam e totem via via gestiti da un clero che dice di parlare a nome del Dio, pardon del popolo. Tam tam, totem e clero che non sono invenzioni, sono l’autentica voce dalla tribù, il popolo sarebbe quella cose che quando c’è la tribù non c’è più. Come si vede…storia nuovissima ma poi mica tanto.

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