ROMA – Si doveva votare sabato scorso il provvedimento sulla spending review, ma il Senato ha preferito rimandare ad oggi (lunedì 30 luglio) l’approvazione. Motivo? Per “migliorare” alcuni punti, che in altre parole suona come ammorbidire i tagli. Ma se i saldi devono rimanere invariati, e i partiti per cause nobili e meno nobili riducono la portata dei tagli e quindi dei risparmi, la conseguenza, inevitabile, non può che essere nuove entrate. Nuove tasse.
“Dal 2013 rischio super Irpef per 18 milioni di persone”, titolava il Sole24Ore un articolo proprio di sabato . “Mezza Italia a rischio per la nuova super-Irpef regionale disegnata dall’emendamento al decreto legge sulla revisione di spesa approvato dalla commissione Bilancio del Senato. Nel raggio della nuova regola, che permette di anticipare al 2013 il tassello aggiuntivo dell’addizionale fino all’11 per mille (oggi è il 5 per mille), ci sono le Regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario: in pratica tutto il Mezzogiorno, con l’eccezione della Basilicata, più il Piemonte. Territori in cui vivono 18 milioni e 226mila contribuenti, cioè il 44% degli italiani che ogni anno versano l’Irpef alle Regioni”. D’altra parte, se non si risparmia, bisogna necessariamente incassare di più per far quadrare i conti, è una questione matematica.
Ma che la spending review non avrebbe avuto vita facile era noto e stranoto. Tagliare gli sprechi italiani è una necessità che il nostro Paese si trascina da qualche decennio e mai nessuno, politico o tecnico, è riuscito nella titanica impresa. Anche perché tra le pieghe di quello spreco abitano consenso ed elettorato. E così, di “miglioria” in “miglioria”, l’obbligo di rinegoziare i canoni d’affitto degli uffici pubblici è slittato al 2015; una moratoria per gli insegnanti pensionabili da agosto, ai quali non si applicherebbe la riforma Fornero è spuntata; una ciambella da 500 milioni per i Comuni che annaspano nei tagli è stata confezionata e Pdl e Pd sono uniti nel chiedere un ampliamento della platea di esodati da mettere in salvo. Con quali soldi? Ma con quelli delle tasse ovviamente.
“In cinque Regioni su otto – spiega il quotidiano di Confindustria –, vale a dire Piemonte, Abruzzo, Lazio, Puglia e Sicilia, la novità potrà portare nel 2013 l’Irpef locale al 2,33 per cento, con un incremento del 35% rispetto al tetto attuale dell’1,73%: in soldoni, un reddito da 30mila euro che oggi paga 519 euro all’anno, dal 2013 potrebbe doverne versare 699. (…) Nelle tre Regioni (Molise, Campania, Calabria) dove i tagli di spesa previsti dai piani di rientro non bastano, e scattano gli incrementi automatici appena confermati per il 2012 dal ministero dell’Economia, se la situazione non migliorerà l’Irpef locale 2013 potrà volare ancora più in alto. L’anticipo nel nuovo scalino di autonomia, infatti, in base al testo dell’emendamento non cancella l’aumento automatico dello 0,3%, per cui l’aliquota chiesta nel 2013 potrebbe volare al 2,73%: in questo caso, il solito reddito da 30mila euro si vedrà presentare un conto da 789 euro. Si tratta, come si vede, di cifre importanti. (…) La regola dettata per il 2013 per le otto Regioni impegnate nei piani di rientro, comunque, è solo un anticipo di quello che potrebbe accadere nel resto d’Italia dall’anno successivo, perché l’incremento dallo 0,5 all’1,1% della ‘fascia libera’ alle decisioni regionali (da aggiungere alla base dell’1,23% uguale per tutti) è stato previsto l’anno scorso dal decreto attuativo sul federalismo regionale (Dlgs 68/2011): dal 2015, in base allo stesso provvedimento, il tassello regionale potrebbe salire addirittura al 2,1%, portando l’aliquota complessiva al 3,33 per cento”.
Nessuno stupore però, i tagli della spending review dovevano servire a rinviare almeno il temuto, ennesimo, aumento dell’Iva del prossimo autunno.
L’imposta sul valore aggiunto non aumenterà, per ora, ma “sembra che i partiti siano ripiombati negli stessi inconcludenti rituali di prima, fra parole vuote e proposte di riforma abortite ancor prima di nascere, fra interessi di bottega e manovre delle lobby, – scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera – come se nel frattempo non fosse accaduto proprio nulla. Come se la crisi fosse svanita di colpo, come se l’essersi affacciati sull’orlo del baratro non fosse servito a nulla, come se la fiducia dei cittadini nei loro confronti fosse ancora solida e intatta”.
E come diceva Toto, nel frattempo, “io pago”.
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