Schengen, frontiere chiuse? Tassa 250 euro a testa, all’anno

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 4 Febbraio 2016 - 13:05 OLTRE 6 MESI FA
Schengen addio? Costa 250 euro a italiano

Schengen addio? Costa 250 euro a italiano

ROMA – Schengen, la Commissione Europea prevede che se continuano i blocchi a singhiozzo delle frontiere europee il danno sarà un calo del Pil continentale. Parole gravi ma parole fredde. Proviamo a dirlo in maniera calda: chiudere le frontiere, ritornare ai controlli doganali costa a ciascun italiano una tassa di 250 euro a testa, ogni anno e neonati compresi. Bloccare il libero scambio di persone e merci nell’Ue, mandare cioè in soffitta il trattato di Schengen costerebbe ad ogni italiano circa 250 euro l’anno. Di fatto, una tassa. E anche salata. Matteo Salvini, i grillini e tutti quelli che a vario titolo incarnano il ruolo di antieuropeisti di solito non amano sottolinearlo, ma chiudere le frontiere, tornare a quando per andare in Francia serviva il passaporto, sia pure per tenere fuori i migranti, costerebbe persino più che mantenerli quei migranti.

A fare i conti ci ha pensato France Strategie, autorevole think-tank governativo francese. “L’addio a Schengen potrebbe costare all’Europa fino a 100 miliardi l’anno – scrive Ettore Livini su Repubblica riprendendo i dati francesi -. Un intervento soft e ridotto nel tempo, spiega lo studio, avrebbe effetti relativamente ‘limitati’ e colpirebbe soprattutto il turismo giornaliero e dei week-end (previsti in calo del 5 e del 2,5%), i lavoratori transfrontalieri e il trasporto merci. Se i controlli al confine durassero nel tempo, invece, le conseguenze rischiano di essere pesantissime: gli scambi commerciali all’interno dell’Unione calerebbero del 10-20%, un danno pari all’imposizione di una tassa del 3% su tutti i beni trasportati. Mandando in fumo – al netto dei mancati investimenti esteri – lo 0,8% del Pil continentale. Percentuale pari a 28 miliardi per la Germania, 13 per l’Italia, 10 per la Spagna e 6 per l’Olanda”.

A pagare il prezzo più alto sarebbe quindi la Germania, che come è noto ha un’economia fortemente sbilanciata sull’export e il cui sbocco principale è il mercato comune europeo che, inevitabilmente, si ridurrebbe con la reintroduzione delle dogane. Ma anche l’impatto sulla Francia (16 miliardi), sull’Italia e sugli altri non sarebbe affatto lieve. Se nel nostro Paese il ritorno ad una condizione pre-Schengen si tradurrebbe come detto in una sorta di tassa da 250 euro l’anno – senza tenere conto del fastidio e del tempo perso nelle attese negli aeroporti e in ogni occasione in cui tornerebbe i controlli frontalieri e doganali –, sarebbero però le economie più piccole e più dipendenti dagli scambi interni all’Unione a pagare proporzionalmente il prezzo più alto. Il 70% dell’economia della Slovacchia, per esempio, dipende dai rapporti commerciali con gli altri paesi continentali. Merci che oggi viaggiano da uno Stato all’altro senza difficoltà e che in un’Europa separata di nuovo dalle frontiere aumenterebbero di molto in tempi e costi di trasporto.

Come poi è calcolato l’impatto economico complessivo e per singoli paesi è facilmente spiegato, ed è comunque una stima persino ottimistica perché comunque al netto dei probabili minori investimenti esteri. I problemi derivanti dal ripristino delle frontiere e i relativi costi sono infatti, in qualche caso, già ben visibili sul campo. I pendolari sul ponte tra Danimarca e Svezia ad esempio hanno allungato di circa 45 minuti il loro viaggio da quando Copenaghen ha ripristinato la verifica dei documenti. Verifica che costa 150mila euro al giorno. L’attesa di auto e Tir alla dogana tra Francia e Belgio, dove fino a poco fa si transitava senza staccare il piede dall’acceleratore, si sono allungate fino a mezz’ora. L’aeroporto di Helsinki dovrà aggiungere 15 addetti ai varchi dell’immigrazione per smaltire le code bibliche che si sono formate dopo la decisione di controllare l’identità anche ai passeggeri in arrivo dalla Ue.

“Quanto costano questi tappi di bottiglia? Una coda di 10 minuti al confine per gli 1,7 milioni di transfrontalieri vale un buco da 1,2 miliardi in dodici mesi per l’economia europea – calcola Livini -. Un’ora di attesa per i camion alla frontiera – dicono gli autotrasportatori olandesi – comporterebbe un pedaggio da 600 milioni per Amsterdam. In Europa circolano 60 milioni di mezzi pesanti l’anno, in Germania ne entrano 54mila al giorno. E bloccarli ad ogni valico significherebbe ingolfare il motore della crescita continentale. Senza contare che il semplice riposizionamento di due agenti (il minimo sindacale) ad ognuno dei 3.100 posti di confine cancellati da Schengen, comporterebbe un onere di almeno 300 milioni”.

Per l’Italia il costo di frontiere chiuse sarebbe di 13 miliardi all’anno. Tredici miliardi diviso 60 milioni di residenti, stranieri compresi, fa appunto 250. Euro annui di tassa appunto frontiere chiuse.