ROMA – Sta tornando, e anzi è già tornata, la stagione dell’uomo forte. Non è questione e non si tratta di moda ma di quell’uomo forte che Beppe Grillo ammira e invoca nella sua intervista francese (salvo poi auto-smentirsi) e che oggi è incarnato, su tutti, dai leader di Russia e Usa. Vale a dire Vladimir Putin e Donald Trump.
Una stagione che sta tornando nel mondo ma anche in Europa e in Italia, dove dopo poco più di mezzo secolo, sembra passata la paura che queste due parole unite incutevano. Al punto che, sondaggi alla mano, oggi nel nostro Paese a 8 cittadini su 10 non dispiacerebbe questa prospettiva. Come solo uno scrittore sa sintetizzare, e come David Grossman ha messo nero su bianco, “col tempo si dimentica perfino la paura di calpestare le righe tra le piastrelle”.
Il tempo, si sa, cancella i dolori e cura le ferite. E il tempo, evidentemente, cancella non solo i dolori di cuore e dei singoli, ma anche i traumi collettivi. Rendendo impotenti e vani gli anticorpi che la società si era data. Alla fine della seconda guerra mondiale, poco meno di 70 anni fa, l’Europa tutta e l’Italia in particolare era terrorizzata all’idea dell’uomo forte. Simili uomini, simili capi di governo per lo più democraticamente eletti, avevano infatti portato morte e distruzione non solo nel Vecchio Continente, ma in tutto il mondo.
In Italia, il nostro uomo forte per eccellenza storicamente parlando, Benito Mussolini, dopo aver lacerato il Paese e averlo portato in guerra causando milioni di morti e distruzioni inenarrabili, era stato catturato, fucilato e appeso a testa in giù. Ingloriosa fine che ben può rendere l’idea di quanto, dopo un simile trauma, l’Italia avesse avversione nei confronti di una simile figura. A guerra finita i nostri nonni, o i nostri bisnonni a seconda dell’età di chi ci legge, si erano seduti intorno ad un tavolo ed avevano edificato una nazione su una Costituzione che faceva di tutto per tenere lontana la possibilità del ritorno di un uomo forte. Creando meccanismi, come tra gli altri il bicameralismo perfetto, che rallentano la macchina statale.
Ma era così forte la paura che ci si potesse ritrovare con un simile destino che pur di scongiurare questa possibilità si era disposti praticamente a tutto. E poi, negli anni ’50 e ancor più nei ’60, anche solo ipotizzare la bontà di un uomo forte non solo non era cosa comune ma era persino squalificante socialmente e politicamente. Ex fascisti a parte nessuno infatti si sognava nemmeno di mettere insieme quel sostantivo con quell’aggettivo.
La paura poi ha cominciato lentamente a scemare di pari passo con la perdita della memoria. Sempre meno quelli che avevano vissuto davvero la stagione dell’uomo forte e sempre meno quelli che avevano vissuto la guerra. Così, quasi senza accorgercene, oggi la maggioranza degli italiani (comunque in ritardo rispetto ai big Russia e Usa che la strada dell’uomo forte l’hanno già felicemente imboccata, la prima con poca possibilità di scelta e la seconda invece con un democraticissimo voto) non solo non teme, ma vuole e desidera l’uomo forte al comando.
“Come mostrano i sondaggi condotti da Demos – scrive Ilvo Diamanti su Repubblica -, fra i cittadini questa idea risulta non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. L’affermazione: ‘C’è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese’, infatti, nel 2004 era vicina – ma ancora sotto – alla maggioranza degli elettori. Nel 2006, però, era condivisa dal 55% degli elettori e nel 2010 quasi dal 60%. Ma oggi (meglio, pochi mesi fa, nel novembre 2016) l’attrazione verso l’Uomo Forte sfiora l’80%. Pare divenuta, dunque, un’idea dominante. Sulla quale conviene interrogarsi seriamente. Riflette, certamente, il declino dei partiti e delle organizzazioni di rappresentanza sociale e degli interessi. Ma anche il processo di ‘personalizzazione’, che si è imposto in ogni ambito della vita pubblica. Non solo in politica. Così il rapporto dei cittadini con i poteri e i potenti è divenuto sempre più ‘diretto’. Anzi, ‘immediato’. Senza mediazioni. E sempre più ‘verticale’”. Speriamo non sia tutto un déjà vu.