Terrore che non tornino indietro: soldi nei Bund, anche a rimetterci

foto Ap-Lapresse

BERLINO – Alcuni titoli di Stato, se pur con rendimenti negativi, vengono venduti “come il pane”. Altri invece, con rendimenti “stellari”, fanno fatica a trovare acquirenti. Eppure sono entrambi in euro. La ragione è semplice, i primi, quelli con rendimenti negativi, sono titoli di stato tedeschi. Gli altri, quelli con i rendimenti maggiori, sono italiani. La Germania certo pagherà i suoi debiti, l’Italia non è detto. Così ragiona molto di pancia e qualcosa d’intelletto il mercato. E così all’asta del 9 gennaio 2012 i Bund sono andati a ruba: 3.9 miliardi di titoli a sei mesi venduti ad un tasso del -0,0122%. In altre parole gli investitori sono talmente spaventati dall’idea di investire i loro capitali, anche in titoli italiani, che preferiscono affidarli alla Germania. Anche rimettendoci qualcosa, avendo però, almeno, la certezza che i loro soldi gli vengano restituiti.

Sui mercati la paura regna ancora sovrana e sono in molti quelli che scommettono sulla fine prossima della moneta unica europea. In questo contesto, per quanto sia certamente inusuale, si spiega la corsa ai titoli tedeschi con rendimento “sottozero”. Se l’euro sparirà, la Germania avrà comunque una moneta forte, il marco, ed onorerà i suoi debiti. Discorso simile anche per l’Olanda che una settimana fa aveva piazzato i suoi titoli con un tasso dello 0%. Ma discorso che non vale per tutti. Senza l’euro alcuni paesi, come l’Italia, si ritroveranno (di nuovo) con una moneta debole, e non è detto che siano in grado, in parte o in toto, di restituire quello che gli è stato prestato attraverso i titoli di stato. Così, nell’incertezza generale, gli investitori, attanagliati dal timore di non rivedere i loro capitali, sono disposti a rimetterci qualcosa pur di accedere ad un porto sicuro come i Bond.

Si potrebbe obiettare che il ragionamento che porta a questa scelta non sia particolarmente lungimirante. La caduta dell’euro danneggerebbe, ovviamente, anche Berlino. Senza moneta unica e con un marco forte le esportazioni tedesche, decisive per l’economia, subirebbero una drastica contrazione. Ma i mercati si sa, non sono molto lungimiranti, e poi i titoli in questione sono a sei mesi. Lasso di tempo sufficiente per mandare l’euro in soffitta, ma troppo breve per stroncare le esportazioni tedesche.

Agli investitori di breve periodo poi, miopi per definizione, il futuro poco interessa: la scommessa sulla disgregazione dell’euro ora è quella che va per la maggiore, per cui non ha senso scommettere nella direzione opposta. Anche perché questa operatività di chi specula trova – per ora – supporto in quella di chi invece compra Bund tedeschi e vende BTp italiani per necessità: per esempio i fondi comuni d’investimento o i fondi pensione che, dovendo investire in euro, non sono più disposti a soffrire per la volatilità dei titoli periferici. Per preservare i loro sottoscrittori o i loro pensionati, sono insomma costretti a comprare titoli di Stato tedeschi per proteggere il capitale investito.

Paradossale è però il rischio che si corre. Se tutto il mercato, per necessità o per speculazione, si muove nella stessa direzione, il rischio è che la scommessa sulla fine dell’euro diventi una profezia auto-avverante. Il rischio, insomma, è che i mercati finanziari vadano a determinare in maniera dirompente gli avvenimenti economici: se in tempi normali i mercati dovrebbero seguire l’economia reale, ora è quest’ultima che segue i mercati.

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