Alleanza Pd-M5stelle è possibile, ecco le condizioni, premessa per l'alternanza. Nella foto Zingaretti Alleanza Pd-M5stelle è possibile, ecco le condizioni, premessa per l'alternanza. Nella foto Zingaretti

Alleanza Pd-M5stelle è possibile, ecco le condizioni, premessa per l’alternanza

L’apertura dei Cinquestelle a un’alleanza con il Pd non è una “buona notizia” soltanto per la sinistra, come l’ha definita il segretario “dem” Nicola Zingaretti.

L’alleanza dei Cinquestelle con il Pd dovrebbe esser tale, piuttosto, per tutti coloro che credono nella regola dell’alternanza. È questa infatti l’essenza di una democrazia compiuta, in cui due schieramenti contrapposti e competitivi possano avvicendarsi alla guida del Paese. Secondo il responso elettorale che di volta in volta assegna all’uno la responsabilità del governo. E all’altro il ruolo di controllo e di critica dell’opposizione, premiandoli o sanzionandoli con il voto.

Senza alernanza, democrazia bloccata

Dove ciò non accade, s’instaura di fatto una dittatura o comunque una “democrazia bloccata”. Com’è stata per cinquant’anni quella italiana, proprio a causa della mancanza di un’alternativa praticabile. Per la presenza del più grande partito comunista dell’Occidente e la cosiddetta “conventio ad excludendum”, il cosiddetto “fattore K”.

E tutto questo alimenta fatalmente l’immobilismo, il clientelismo, il malaffare e la corruzione. Quando una maggioranza parlamentare si ritiene – a torto o a ragione – insostituibile e inamovibile, come accade in qualsiasi organizzazione sociale, finisce per dare il peggio di sé. E spesso degenera in un regime, più o meno democratico.

L’avvento dei Cinquestelle sulla scena politica italiana ha rotto il vecchio bipolarismo ideologico fra centrodestra e centrosinistra che s’era stabilito nella Seconda Repubblica. Introducendo un “terzo polo”. Che pragmaticamente ha governato prima con la Lega e ora governa con il Partito democratico.

La somma di due populismi

In un certo senso si può dire che era un’anomalia, seppure legittimata dal consenso popolare, ma fonte anche di ambiguità programmatiche, rivalità e tensioni. Per di più, nella prima fase della legislatura ha prodotto la somma nefasta di due populismi, quello leghista e quello “grillino”. Che ha compromesso ulteriormente il bilancio dello Stato.

Alla prova del governo, attraverso questo doppio “bagno istituzionale”, i Cinquestelle sono diventati tuttavia più maturi e responsabili. Sono usciti dall’isolamento della loro pretesa diversità. Oggi parlano e agiscono con maggiore competenza, compostezza e misura.

E sotto la sferza dei sondaggi sfavorevoli e dei risultati elettorali locali, hanno preso consapevolezza che è molto più difficile governare e cercare di risolvere i problemi della gente piuttosto che stare all’opposizione e criticare.

Con la Lega di Matteo Salvini, il M5S aveva sottoscritto un “contratto di governo”, come due soci in affari che non si fidano l’uno dell’altro. Ora, con il Pd, Italia Viva e Leu, i pentastellati devono confrontarsi sulle proposte concrete, sulle soluzioni possibili, sui sì e i no da dire ogni giorno.

Puglia, occasione di crescita per i grillini

La Puglia, dalla riconversione ecologica dell’Ilva di Taranto alle polemiche sul gasdotto trans-adriatico che sbarca sulla costa salentina, è stata per loro un banco di prova e insieme un’occasione per crescere.

Ma ancor più hanno dovuto fare i conti con l’Europa, a cominciare dall’elezione di Ursula von der Lyen alla presidenza della Commissione di Bruxelles. Dove il voto “grillino” alla fine è stato decisivo. Il che ha influito certamente sull’atteggiamento più disponibile dell’Unione nei confronti dell’Italia, dall’emergenza immigrazione agli stanziamenti del Recovery Fund.

Privi di un’identità originaria e carenti di una cultura politica, come qui abbiamo già scritto altre volte, i Cinquestelle hanno via via accantonato o attenuato le loro spinte antagoniste, protestatarie e vagamente rivoluzionarie. Per valorizzare una vocazione sociale, ambientale e riformista che oggettivamente li avvicina più ai partner dell’attuale maggioranza giallo-rossa che agli ex commilitoni di quella giallo-verde.

“Il Pd mi ha sorpreso”, ha dovuto ammettere qualche tempo fa lo stesso Luigi Di Maio. E non bisogna dimenticare, comunque, che è stato il M5S a proporre un premier come Giuseppe Conte, al quale va riconosciuto il merito di aver guidato l’Italia con mano ferma in una tempesta sanitaria ed economica come quella scatenata dall’epidemia di coronavirus. Che purtroppo non è ancora finita.

Un lungo percorso

Certo, dal “contratto di governo” a un’alleanza politica e programmatica il percorso sarà lungo e impegnativo; irto di ostacoli, trappole e tranelli. Nessuno può prevedere con certezza quale sarà l’esito.

Occorrerà da entrambe le parti un grande sforzo di elaborazione, d’integrazione reciproca e di mediazione. “Siamo diversi, ma non avversari”, assicura Zingaretti, aprendo virtualmente una fase più costruttiva nei rapporti fra il Pd e il Movimento. Ma anche lui sa bene che per diventare alleati non bastano le “buone notizie” né tantomeno le buone intenzioni: è necessario coltivare ideali comuni fondati magari su un’etica condivisa.

In una tale prospettiva, non c’è dubbio che un ritorno al sistema maggioritario – opportunamente corretto a tutela delle minoranze – sarebbe utile per favorire un rinnovato bipolarismo tra due coalizioni il più possibile omogenee e coese al proprio interno, capaci di presentarsi così alle elezioni. La regola aurea dell’alternanza presuppone condizioni di stabilità e governabilità.

E questo obiettivo, oltre a coinvolgere sia il centrodestra sia il centrosinistra, riguarda l’interesse generale del Paese. Altrimenti, si rischia di lasciare campo libero alle scorribande del trasformismo, dell’opportunismo e dell’avventurismo che possono anche favorire personalmente qualcuno, ma a danno dell’intera collettività nazionale.

(da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 agosto 2020)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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