Barcellona, todos afuera! Quando c’erano leader veri, non sovranisti improvvisati

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 29 Dicembre 2019 - 08:28 OLTRE 6 MESI FA
Barcellona, todos afuera! Quando anche in Catalogna c'erano leader veri, non a sovranisti improvvisati

Barcellona, todos afuera! Quando c’erano leader veri, non sovranisti improvvisati (Nella foto Ansa, le manifestazioni degli indipendentisti catalani)

ROMA – Todos afuera! Signori, si scende. Era partito da Napoli il giorno prima quel treno con destino Barcellona.
Aveva attraversato l’Italia e la Francia mediterranea, ma la frontiera di Cerbere, Pirenei francesi orientali, era il capolinea delle ferrovie europee 37 anni fa.

In Spagna, lo scartamento ridotto dei binari impediva ai treni provenienti dalla Francia, unica frontiera ad ovest, di poter proseguire. Il generalissimo Franco, che era da poco andato all’altro mondo, era ossessionato dalla paura di essere invaso “por el ferrocarril” e per questo non adeguò mai la misura dei binari al resto d’Europa.

Quindi, tutti a terra, in coda per attraversare la frontiera a piedi, mostrando il passaporto ad una guardia armata. E poi ancora in fila per cambiare qualche lira o qualche franco contro pesetas, non prima di aver mentalmente fatto complicati calcoli. Era l’Europa prima di Schengen, quella che tanti oggi rimpiangono e non so se ricordano.

Quindi ti trovavi a Portbou, in Catalogna, che è la stessa città da dove venivi ma dall’altra parte della stazione. Da lì, un buffo trenino a vapore correva, si fa per dire, su binari più stretti che nel resto d’Europa, giungendo dopo qualche ora alla Estacion de Francia, Barcellona.

Una città della Spagna, all’epoca extracomunitaria, e dove per giunta si parlava poco lo spagnolo. Esistesse un Esperanto Europeo, questo non potrebbe che essere il Catalano, una lingua contaminata dal francese della provenza, l’italiano della liguria, il castellano della navarra…

La lingua catalana a Barcellona è fortemente identitaria. Impossibile per un catalano rinunciare ad esprimersi con questo idioma che ne racchiude tanti. Allora come adesso, le tante rivendicazioni autonomiste sono rigorosamente in catalano. Unici repubblicani nel Paese iberico, i Catalani non manderebbero mai a quel paese Felipe di Borbone nella lingua di Cervantes e Unamuno.

L’architettura istituzionale post franchista, aveva assicurato ai Catalani, come del resto ai Baschi, una forte autonomia politica su base territoriale. Il fatto che a differenza di Bilbao, nel centro di Barcellona non esplodessero automobili, con o senza ministri a bordo, aveva fatto guardare tutto il mondo con simpatia alla causa catalana.

Un patrimonio politico buttato al vento dalla nuova classe dirigente. Jordi Pujol, leader storico dei catalani, che governò la comunità per 23 anni, ottenne per la Catalogna, la regione che, non dimentichiamo, pagò il prezzo più alto alla dittatura franchista, condizioni di autonomia molto ampie negoziando con Madrid.

Era cattolico, repubblicano ed antifascista. Figlio dunque di ideologie forti, capaci di imporre una visione strategica molto ampia al punto tale che la Comunitat è oggi tra le più avanzate regioni d’Europa. La Catalunya non era in mano a leaders come Puigdemont, uno che dopo aver dichiarato la secessione è scappato a Bruxelles prima di essere arrestato, lasciando che in galera andassero i suoi collaboratori.

Non esistesse un problema di integrazione cosi profondo, quindi culturale, probabilmente le istanze politiche della comunità catalana sarebbero disattese a tutti i livelli, come del resto sta accadendo in queste ore a Bruxelles, che temporeggia sulle decisioni da assumere a proposito dei leader secessionisti catalani eletti all’Europarlamento, ancorché inseguiti dalla Giustizia spagnola.

È la riprova che l’avventurismo di tanti leader sovranisti non paga. E che la forza di una comunità sta nella coscienza della propria specificità e nella capacità di valorizzarla. Barcellona, continua a farlo.