Colombia, dopo pace con le Farc repubblica stile Castro?

Colombia, dopo pace con le Farc repubblica stile Castro?
Colombia, dopo pace con le Farc repubblica stile Castro?

BOGOTA – Santa Fè de Bogotà, nome completo e corretto della capitale colombiana, è probabilmente la città al mondo che gode della più cattiva quanto immeritata fama. Stupirà il moderno aeroporto El Dorado praticamente al centro della città ma ancora di più stupirà la gentilezza e cordialità degli abitanti, una cortesia antica quasi imbarazzante.

In Colombia si parla il castellano più corretto d’America (e forse anche della madre patria se lì si parlasse il castellano, una antica polemica tra la Spagna e le sue vecchie colonie) segno del grande sviluppo culturale che nei secoli ha avuto questo Paese, centro del “Nuevo Reino de Espagna”.

La letteratura colombiana fatta scoprire da Marquez e Mutis prima di essere realmente magica (azzeccata formula editoriale ma quasi priva di senso semantico) è la porta attraverso cui scoprire un paese che, come pochi al mondo, racchiude tre diverse realtà, quelle della sierra, della costa e della selva, nell’unico tra i Paesi del continente che si affaccia sui due oceani americani, il Pacifico e l’Atlantico.

Sulle Ande sorgono Bogotà e anche Medellin, la ciudad della eterna primavera, sulla costa del Caribe le deliziose Cartagena de Las Indias e Santa Marta o la vivace Barranquilla, nella Selva amazzonica poco abitata, pueblecitos antichi stanno ai confini del Perù e del Brasile, ed alla loro gente poco importa di appartenere all’uno o all’altro di quei Paesi.

Tante poi le altre belle ciudad sparse per questo fantastico Paese, quella di Cali poi meriterebbe un discorso a parte. Ognuna delle tre realtà esprime una sua peculiare cultura. Alla nera e sensuale popolazione costegna del nord, affacciata sul mar dei Caraibi, si contrappone decisamemte la civiltà andina e poi criolla che vive sulla sierra, a Santa Fe de Bogotà. La città sorge ai piedi delle Ande ed è lambita letteralmente dalla cordillera e dal fantastico parque nacional che è dentro la città col suo Cerro del Monserrate a 3200 metri di altezza, 600 metri più in alto della capitale.

Una megalopoli da 8 milioni di abitanti, una parte storica discretamente conservata, la Candelaria, con la tipica Plaza de Armas delle città coloniali spagnole e con la consueta pianta quadrata in cui la cattedrale è posta di fronte al palazzo del Governo a simboleggiare l’equilibrio tra i poteri. C’è ovviamente la solita “zona rosa” abitata solo da bianchi discendenti dagli spagnoli.

Las caras andinas in questi quartieri quasi scompaiono e si incontrano solo nelle guardianie dei palazzi signorili o alla guida dei carretti su cui preparano gustose empanadas, uno street food condito da sorrisi e cortesia da cui dovrebbero apprendere tutti i nostri televisivi ed insopportabili cuochi tanto antipatici quanto stucchevoli e sapientoni. Il fascino di Bogotà sta di sicuro altrove.

Nelle librerie ad esempio, frequenti e ben fornite, o nelle bancarelle per strada dove giovani ambulanti vendono libri a buon mercato, cosa difficile in Sudamerica, dove l’industria editoriale ha costi di produzione e distribuzione altissimi, tanto che gli autori vengono spesso pubblicati a Mexico City o addirittura in Spagna dove è addirittura più conveniente.

La Colombia è dunque una felice eccezione, segno che la domanda culturale è alta come può vedersi dai tanti teatri in città o dai suoi sempre frequentati caffè letterari dove la domenica mattina si leggono poesie e recitano piece drammatiche o magari, al suono di qualche chitarra, si intonano divertenti “rancheras” ispirate alla cultura andina.

E’ oramai finita l’epoca in cui le autobombe scoppiavano agli angoli delle strade e se chiedi al tassista di Pablo Escobar (chissà perchè tutti qui chiedono di lui) quello ti sorride e ti dice che sta oramai al Campo de la Paz. Al più la paura dei colombiani oggi è che si concretizzi il piano del presidente Santos che in accordo con il Venezuela e Cuba mira ad una pacificazione con i guerriglieri delle Farc che la gente di Colombia legge come l’anticamera di una futura Repubblica Bolivariana in salsa Chavez/Castro.

L’economia tira e a Bogotà si vede. Ma nella capitale la paura di una recessione economica è palpabile e nessuno vuole abbandonare gli evidenti agi raggiunti da una classe media, impensabile solo dieci anni fa e che oggi ha appetiti difficili da sopire. Le notti di Bogotà sono alquanto diverse da quelle della costa anche per ragioni diciamo meteorologiche.

Nei tanti locali notturni, la salsa del Caribe è sostituita dalla Cumbia, musica tradicional di tutta la regione andina. Tuttavia, la città si anima solo nei fine settimana,quando di mattina scoppia la mania del jogging e dei cani a passeggio, così tanti che neanche a Parigi o New York, che uno si chiede a cosa sia dovuta questa imperante cinofilia senza invero darsi risposte convincenti. Convincente appare invece alle autorità valutarie la regola imposta ai cambia valuta di identificare chi vuole scambiare moneta.

Costui è obbligato a rilasciare le proprie impronte digitali, una norma ispirata chiaramente ai fini dell’antiriciclaggio del danaro sporco. Certo, viene da chiedersi cosa ne faranno di questa mole di dati o se la cosa è regolamentata da una qualche legge sulla privacy. Ma a parte che il concetto di “riservatezza” nel mondo latino ha un significato (ed un valore) diverso dal mondo anglosassone o europeo, evidentemente la priorità per il Paese è la lotta alla criminalità finanziaria che spesso è contigua quella del narcotraffico, innegabile realtà colombiana.

Lasciando Bogotà, ti sorprende (o forse no) come questo miscuglio di razze abbia generato un altro tipico tratto della Colombia in generale e di Santa Fé de Bogotà in particolare, la bellezza delle loro donne, eleganti e raffinate, sempre sorridenti e mai volgari nella loro semplicità. Ed è attraverso di loro che si coglie la magia reale, più che il realismo magico, che ti regala questa Macondo nel mezzo delle Ande.

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