Elezioni anticipate, in due anni Renzi dal trionfo a Beppe Grillo

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 6 Dicembre 2016 - 06:47 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni anticipate, in due anni Renzi dal trionfo al Referendum

Elezioni anticipate, in due anni Renzi dal trionfo al Referendum (Foto ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

La conclusa consultazione referendaria  si è resa necessaria perché la legge di riforma non aveva trovato in Parlamento i due/terzi necessari per evitare che la stessa fosse soggetta al referendum. In altri termini, una maggioranza semplice e non qualificata, prevedeva il ricorso alle urne, con tutti i rischi ad esso connessi.

Tuttavia,  il disegno di Legge Boschi e la necessaria consultazione referendaria che ne seguiva, poteva legittimamente iscriversi tra il piano di riforme che il premier Matteo Renzi si proponeva di realizzare per mantener fede al proposito di rottamare non solo una classe politica, ma anche buona parte delle Istituzioni che, a suo dire, frenavano la crescita e lo sviluppo del Paese.

Del resto, i due anni del suo Governo sono stati segnati da una costante ansia di cambiamento (qualche volta autentica qualche altra un po’ meno), come dimostrano i tanti “commissariamenti” a cui ha sottoposto istituzioni ritenute strategiche per la realizzazione dei suoi programmi.
Dunque è da ricondurre ad una sua precisa scelta politica quella di aver personalizzato l’esito dello scontro referendario, elevandolo ad una sorta di Ordalia attraverso cui ricevere quella legittimazione a governare che non ha avuto da una tornata elettorale.
Troppo poco infatti quel 40% di consensi ricevuti alla elezioni europee di due anni fa per fugare i tanti dubbi che si addensavano sulla sua nomina a Premier, ottenuta  in gran parte con una manovra dil palazzo, un metodo che a parole rifuggiva e che invece ha utilizzato per scalzare Enrico Letta che pure , in verità, si era ritrovato a Palazzo Chigi  dopo rocambolesche consultazioni quirinalizie,  necessarie per superare l’impasse istituzionale venutosi a creare dopo le elezioni politiche del 2013.
Niente affatto “sereno”, Letta sapeva che avrebbe dovuto lasciare il posto di Premier a Renzi, divenuto anche segretario del Pd, partito di maggioranza relativa e pertanto legittimato ad esprimere il nome del Presidente del Consiglio.
Da quel momento, l’impegno del Presidente del Consiglio è stato quello di fugare ogni dubbio sulla sua legittimazione a governare.
Ha quindi anzitutto cercato di dotare il Paese di una legge elettorale che sostituisse il Porcellum dichiarato incostituzionale, attraverso un sistema, con poca fantasia definito Italicum, che permettesse, all’esito della consultazione elettorale, di avere una maggioranza chiara ed immune dai vizi bizantini attraverso cui, come accaduto con Monti, Letta e con lui stesso, il Premier ed il Governo risultassero il frutto di accordi extra parlamentari risolti solo con l’intervento del Capo dello Stato.
Questa Legge, sulla quale  pure il Premier tanto si è speso, ritenendola complementare alla riforma costituzionale bocciata dalle urne, è attualmente sub judice in quanto sospettata di incostituzionalità proprio in ragione di uno spropositato premio di maggioranza,  ritenuto un  “irragionevole” regalo ad una coalizione risultata vincitrice delle elezioni, anche se con uno scarso margine di vantaggio. Una spoliazione dei diritti della minoranze del tutto ingiustificata.
La Corte Costituzionale ha opportunamente sospeso il giudizio in attesa dell’esito referendario, calendarizzando i lavori per il mese del prossimo gennaio, allorquando si esprimerà sulla rispondenza della Legge alla Carta Costituzionale.
Il combinato disposto della approvazione della riforma costituzionale e del varo della legge elettorale da lui voluta, sarebbe stato il suo capolavoro politico, allontanando il dubbio di essere capitato a Palazzo Chigi con un metodo che è stato proprio della prima e della seconda Repubblica, un sistema contro il quale ha costruito tutta la sua fortuna politica.
Dunque un passaggio quasi obbligato il suo.
Renzi però non ha tenuto nel debito conto che cosi facendo ha permesso la coalizione contro di sé di tutti i suoi avversari politici, che non hanno perso l’occasione per approfittarne, decretando la ingloriosa fine del suo Governo.
In realtà, come più volte evidenziato nel corso della campagna elettorale, né a lui né ad i suoi avversari politici, praticamente tutti, è mai interessato il piano di riforme mal scritte e poco incisive proposte nel Disegno di Legge Boschi.
Esse erano solo lo strumento attraverso cui misurare il proprio potere cresciuto a dismisura in questi due anni anche per l’ assenza di alternative politiche degne, non potendosi certo definire tali gli strepiti di Salvini o le manovre da basso impero che regnano nel centro destra orfano di Berlusconi.
Il nemico era è resta Grillo, è con lui che doveva competere nel tentativo, risultato fallito, di accreditarsi come il demiurgo capace di salvare il Paese prima dell’arrivo delle orde pentastellate.
Non ci è riuscito perché, pur ispirato  dalla scuola politica della Dc di La Pira e Dossetti, non ha dimostrato di avere l’astuzia della Balena Bianca.