Il Natale della terza Repubblica incombe sul rito cristiano: con conseguenze decisive per 60 milioni di italiani

Natale, quello della terza Repubblica si sovrappone al rito che da quasi 2 mila anni unisce i cristiani.

Questo Natale laico potrebbe avere conseguenze meno durature ma forse decisive per 60 milioni di italiani.

Sono passati quasi 11 mesi da quel 4 febbraio scorso. Quando un Mattarella scuro in volto è stato costretto a prendere atto del putsch con cui Renzi ha posto fine al Governo Conte 2.

Il Presidente della Repubblica, constatava l’assenza di un accordo politico tra i partiti – e quindi l’impossibilità della formazione di un nuovo Esecutivo frutto di una diversa maggioranza. E decideva però di non sciogliere le Camere e di affidare l’incarico a Mario Draghi, auspicando un governo di larghe intese.

Che infatti, come è noto, si andò formando con la partecipazione di tutte le forze politiche ad eccezione della Meloni.

Era iniziato il commissariamento della politica per manifesta incapacità dei partiti di gestire adeguatamente la cosa pubblica.

L’azione di Governo è rimasta accentrata nelle mani di una sola persona che nei processi decisionali si è avvalso di una “cabina di regia”. Relegando il Consiglio dei Ministri a puro organo consultivo. Ed esautorando il Parlamento da qualsiasi funzione, qualcosa mai accaduta prima.

Mere ragioni cronologiche (la scadenza del settennato dell’incarico quirinalizio) impongono adesso una decisione sul futuro del Premier Draghi. Draghi è in pole position per l’alto incarico di presiedere la Repubblica, lasciando l’incarico di Premier.

Ovviamente “l’operazione trasloco” ha un senso solo se fin dalle prime votazioni, il Parlamento trova un accordo condiviso sulla figura di Mario Draghi. Perché se così non fosse è evidente che la maggioranza che oggi lo sostiene non sarebbe più tale. Come in qualche modo lo stesso Draghi ha fatto capire nell’ultima conferenza stampa.

Un natale laico con le conseguenze immaginabili.

Lo sfaldamento della attuale, improbabile, maggioranza e le elezioni anticipate.

Una soluzione che non gradisce nessuna forza che compone l’attuale Governo. Esso è formata soprattutto da Parlamentari consapevoli che il ritorno alle urne coinciderebbe con il ritorno definitivo a casa. E, per alcuni di loro,  con la necessità di trovarsi un lavoro.

Essendo escluso che Mattarella resti un annetto ancora a scaldare la poltrona a Draghi, resta da capire se Salvini, Letta o Conte, siano o meno disposti ad eleggere subito Draghi. Costui, non dimentichiamolo, una volta al Quirinale, dopo aver condotto le consultazioni alla sua maniera (cioè ascoltando tutti e decidendo da solo), avrebbe in mano il destino del nuovo Governo.

Perché non dimentichiamo che questa volta lui non sarebbe vincolato (in qualche modo) a dare l’incarico ad un leader uscito vittorioso dalle elezioni.

Né le sue dimissioni, sono il frutto di una crisi di Governo, dipendendo infatti da una situazione politica (e giuridica) del tutto nuova: la sua elezione ad altro più alto incarico.

Per cui, una volta al Quirinale, avrebbe mano libera nell’ incaricare chi ritiene capace di completare il (suo) programma di Governo.

Cioè qualcuno che proviene dalla sua “cabina di regia”.

In questa ottica deve leggersi il nervosismo di buona parte dei leader di partito ma soprattutto di Salvini. Ansioso di lasciare Draghi al Governo. Per eleggere al Colle un Presidente che, all’esito delle elezioni alla scadenza naturale della legislatura, sia disponibile a dare il mandato di formare il Governo al leader di una destra vittoriosa.

Draghi al Quirinale infatti rappresenterebbe un ostacolo, soprattutto perché sarebbe restio ad incaricare un leader anti-europeista, come certamente sarebbero Salvini o Meloni. 

 

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