Pasqua in Uzbekistan, dove la Festa di Navruz, primavera…

Pasqua in Uzbekistan, dove la Festa di Navruz, primavera…
Pasqua in Uzbekistan, dove si celebra la Festa di Navruz, primavera e inizio dell’anno

Pasqua in Uzbekistan, dove la Pasqua era festeggiata prima della Pasqua. La festa di Navruz, la primavera Uzbeka, sorprende il visitatore che arriva a Tashkent facendolo sentire immediatamente a suo agio grazie al clima gradevole ed alla squisita cortesia della sua gente.
Il valore culturale della ricorrenza, che segna l’inizio dell’anno nell’antica Persia, si è estesa a tutta l’Asia e rimanda alla rinascita della natura di zoroastriana memoria, un culto antico preislamico (e precristiano) fortemente sentito in Uzbekistsn.
Come in tutta l’Asia pertanto, la ricorrenza è molto sentita e per tutta la città di Tashkent è palpabile l’atmosfera di festa degli abitanti che all’aperto si godono fino a tarda sera il clima mite con ricche bevute e piacevoli passeggiate.
La capitale del Paese, 2.800.000 abitanti, si presenta quieta ed ordinata.
Trasporti efficienti suggeriscono l’idea di una città attiva e bene organizzata.
Spostarsi è facilissimo con una efficiente (controllatissima) linea metropolitana e grazie a quell’espediente tipico dei paesi ex sovietici che probabilmente hanno ispirato i rampanti finanzieri americani di Uber, senza però le noiose beghe legali intentate dalle corporazioni dei tassisti ufficiali.
A Tashkent, (come a Mosca, Kiev, Minsk etc) ogni automobilista arrotonda facendo il tassista e quelli ufficiali non sembrano lamentarsene.
I lunghi viali alberati, costruiti dopo il terremoto del 1966 – che ha praticamente raso al suolo la città – la rendono poi piacevolmente ariosa.
Dell’epoca passata resta purtroppo molto poco e la città si appresta a diventare una moderna metropoli troppo simile a tante altre post comuniste, il che è anche triste visto che ha 2.500 anni di storia.
Al centro dell’Asia, l’Uzbekistan confina praticamente con tutte le Repubbliche di quell’area orientale divenute indipendenti dopo il dissolvimento della Unione Sovietica.
Una operazione che ha finito col ridare autonoma vita ad antiche civiltà che affondano le loro origini nella notte dei tempi.
Un miscuglio di razze quello uzbeko, che testimonia la vocazione transnazionale dei popoli dell’Asia Centrale, territori in cui hanno per secoli convissuto genti provenienti dalla Mongolia e dalla Cina, dalla Turchia e dalla Persia, dando vita ad una inestricabile babele di lingue.
Difficile trovare in Uzbekistan qualcuno che non parli almeno due lingue, precisamente quelle derivanti dai ceppi originari principali, il Parsi delle popolazioni tagiche (che in Uzbekistsn hanno ancora pretese territoriali) ed il turco di quelle turkmene a cui si aggiunge il russo, ancora oggi lingua nazionale, con il suo alfabeto cirillico che convive con quello latino dei paesi turcofoni.
A differenza delle altre repubbliche asiatiche ex sovietiche, l’Uzbekistan ha infatti preferito continuare ad adottare anche la lingua russa soprattutto per ovviare a tutti i problemi burocratici che sarebbero derivati da un repentino abbandono di una lingua usata per 70 anni.
Resta comunque una Storia tormentata quella dei rapporti tra la Russia e l’Uzbekistan.
I primi dell’800, l’impero britannico indiano era troppo vicino alle regioni periferiche dell’impero russo zarista, che aveva già annesso alla Grande Russia gran parte dei territori dell’Asia centrale nel corso dei secoli precedenti, paesi turcofoni come il Kazakistan o il Kirghizistan.
Gli emirati uzbeki non furono annessi ma continuarono a rimanere nell’orbita politica dell’impero zarista, cui legarono le loro sorti anche per evitare che la politica espansionistica inglese finisse col privarli di quelle autonomie e vantaggi di cui godevano grazie al loro ruolo di vassalli dello Zar.
Il confronto tra i britannici ed i russi durò sino ai primi del ‘900, quando finì quello che storicamente venne definito “il Grande Gioco”.
La rivoluzione bolscevica portò all’ingresso dell’Uzbekistan nella URSS da cui si dichiarò indipendente, non senza una certa riluttanza nel 1991, quando la Russia diede il via libero alla scissione della Comunità degli Stati Indipendenti ( CSSI) succeduti alla URSS a seguito della caduta del muro di Berlino.
Le Repubbliche asiatiche della ex Unione Sovietica infatti, a differenza di quelle baltiche o caucasiche, non avevano alcuna smania di abbandonare l’Impero, avendo goduto nei 70 anni precedenti di una discreta autonomia in ragione della loro specificità culturale e religiosa.
Furono pochi infatti i cittadini sovietici asiatici finiti nei gulag staliniani dove però arrivavano in massa i dissidenti dalla Russia Bianca.
La Indipendenza, guidata da funzionari formatisi nella ex URSS, ha favorito un forte recupero delle tradizioni culturali locali oltre che una rinascita dell’islam.
L’Uzbekistan è la prova vivente che può esisterne uno moderato, laico e soprattutto dialogante.
E del resto sarebbe strano non fosse così, visti i tanti popoli che per secoli si sono incontrati sulle rotte della Via della Seta, attraverso tutto l’Uzbekistan.

 

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