Piercamillo Davigo, da mani pulite ai verbali sul caso Amara: poteri e doveri dalla Procura di Milano e del Csm

Piercamillo Davigo è al centro di una aspra polemica che coinvolge magistrati di primo rango e tocca competenze e regole del Csm. Il Consiglio superiore della Magistratura è l’organo previsto dalla Costituzione per l’autogoverno dei giudici e dei pubblici accusatori italiani.

Non è chiaro se il Sostituto Procuratore di Milano, Paolo Storari, mettendo al corrente Piercamillo Davigo della presunta “inerzia” del Procuratore Capo, Francesco Greco, abbia violato il riserbo istruttorio.

Davigo sostiene di avere saputo delle indagini impantanate a Milano da Storari, e di esserne stato messo a conoscenza, solo in quanto membro del CSM.

Storari afferma dal canto suo di avere messo al corrente Davigo del fatto che Greco, nonostante le indagini procedessero spedite, non avesse ancora iscritto Amara nel registro degli indagati.

E di come la cosa gli apparisse molto sospetta.

Restano però da capire almeno due cose

Anzitutto, è il CSM, nell’interezza della propria composizione, a potere accedere alle indagini (segrete)? Oppure ciò è permesso anche ai singoli membri?

E poi, perché Davigo non ha consigliato a Storari di rivolgersi al Procuratore Generale di Milano? Affinché esercitasse il potere di avocazione previsto dall’art. 412 c.p.p.. Cosa che peraltro Storari  non poteva non sapere?

Si pronuncerà chi di competenza sulla legittimazione del singolo membro del CSM a conoscere della segretezza degli atti di un’indagine. (Ne sapeva qualcosa anche Nino Di Matteo).

Potrà anche ritenersi che sia solo il plenum del CSM a poter ricevere tali atti. E solo nell’ambito di una pratica in autotutela. Peraltro invocata dallo stesso Storari.

Con le conseguenze previste sulla possibile configurabilità, a carico dell’uno e dell’altro, del reato di rivelazione del segreto d’ufficio.

Per quanto attiene all’avvenuto “bypass” del Procuratore Generale di Milano la risposta è più semplice.

Nè Storari né Davigo si fidavano

È risibile sostenere che la sede fosse vacante.

La pratica avocatoria prevista dall’art. 412 c.p.p. è esercitata dal Procuratore Generale facente funzioni.

Se l’affaire fosse stato trattato secondo diritto, Storari non sarebbe dovuto andare da Davigo.

Anche se pare che i due vivessero vicini, poteva fare ancora prima salendo al piano di sopra del proprio ufficio. Dal Procuratore Generale appunto.

Tuttavia, ciò che lascia perplessi è un’ulteriore circostanza, che svela la natura metagiuridica di tutta la vicenda. Di cui, ricordiamolo, nessuno sarebbe venuto a conoscenza, nemmeno il plenum del CSM. Se il solito corvo che aleggia sugli uffici giudiziari italiani non avesse inviato ai giornali i verbali (non sottoscritti) degli interrogatori dell’avvocato Pietro Amara.

A complicare la cosa infatti è intervenuta la relazione del Presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra. Egli sostiene di avere ricevuto da Davigo gli atti riservati milanesi. Che contenevano anche le accuse ad un altro membro del CSM, Sebastiano Ardita. Magistrato garantista, assai inviso alla corrente giustizialista in seno alla magistratura. Indicato come un massone appartenente alla loggia “Ungheria”. Una loggia così segreta che nessuno ne ha mai sentito parlare. Tanto da essere stata scambiata da molti per un noto bar romano del quartiere Parioli.

Dell’esistenza di questa fantomatica loggia avrebbe dovuto occuparsi anche la Commissione Antimafia?

O invece era su Ardita che bisognava indagare?

Resta il fatto che a prevalere, più che altro, sono le ansie giustizialiste. Che hanno piegato procedure e scardinato uffici giudiziari. Inquinando finanche organi di rilevanza costituzionale come il CSM.

Oppure è probabile che, dopo Palamara, tra le toghe, sia iniziato il redde rationem. 

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