Referendum trivelle, dal suo fallimento una riflessione

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 18 Aprile 2016 - 06:36 OLTRE 6 MESI FA
Referendum trivelle, dal suo fallimento una riflessione

Referendum trivelle, dal suo fallimento una riflessione

Sgombriamo il campo da ogni dubbio.
Astenersi dal votare nelle consultazioni referendarie è legittimo.
L’articolo 75 della Costituzione è chiaro sul punto, perché la consultazione sia valida, occorre che venga raggiunto il quorum del 50% degli aventi diritto più uno.
La ratio della norma, che è del 1948, era quella di evitare gli abusi delle minoranze.
Col tempo, da iniziative popolari volte all’abrogazione di norme ritenute ingiuste, soprattutto quelle maggiormente divisive, lo strumento si è trasformato in una sorta di plebiscito pro o contro il Governo in carica.
Iniziò Craxi con il referendum sulla scala mobile, il cui fallimento coincise con la sua leadership della sinistra riformista e con la conseguente sconfitta del Pci e dei sindacati che lo avevano sponsorizzato, sino ad arrivare ad oggi, con Matteo Renzi che sul fallimento del referendum sulle trivelle si è giocato tutta la sua credibilità politica.
Tuttavia il fatto che astenersi sia legittimo non significa che sia anche giusto.
Se il problema è un possibile abuso,è la stessa Costituzione a prevedere delle condizioni piuttosto rigide prima che possa darsi luogo al referendum.
Per essere ammissibile, deve essere richiesto da 500.000 persone o almeno 5 consigli regionali.
Vi è quindi un primo controllo formale da parte della Corte di Cassazione.
Quello più importante poi lo esercita la Corte Costituzionale poiché non tutte le materie possono essere oggetto di referendum.
Inoltre, in via evolutiva, la giurisprudenza della Alta Corte ha allargato l’ambito di applicabilità del divieto, prova ne è nel tempo la dichiarata inammissibilità di quesiti che apparentemente esulavano da quelli per i quali era esplicitamente vietata una consultazione referendaria.
Infine, è nelle prerogative del governo intervenire legislativamente con norme volte a regolare la materia oggetto del referendum e farlo così ritenere del tutto inutile e quindi non ammissibile, come del resto è accaduto con 5 dei 6 referendum proposti sulle trivellazioni.
Rimane quindi da chiedersi se non sia anacronistica una norma che, oggettivamente, approfittando del fisiologico astensionismo delle democrazie più mature, avvantaggia una parte, quella contraria alla abrogazione, che può poi affermare una vittoria politica.
Oppure, dall’altro lato, approfittare da parte delle opposizioni, in maniera spesso strumentale, di una consultazione referendaria per ottenere in questo modo una sorta di “sfiducia” proveniente direttamente dal corpo elettorale,un istituto inesistente nella nostra Costituzione.
È indubbio che non a questo pensavano i padri costituenti quando immaginarono col referendum una nobile forma di democrazia diretta, da esercitarsi esclusivamente su temi socialmente e politicamente sensibili sui quali è importante pronunciarsi.