Salvini, dal costume da bagno alle braghe di tela, fra Conte, Trump e il Vaticano

Salvini, dal costume da bagno alle braghe di tela, fra Conte, Trump e il Vaticano
Matteo Salvini (foto ANSA)

Scappa dalle spiagge col costumino ancora bagnato e va a Palazzo Chigi per dire a Conte che adesso vuole i “pieni poteri”, deve capitalizzare il consenso faticosamente raggiunto in 14 mesi di feroci invettive contro il mondo intero, spalleggiato, a suo dire, dal cuore immacolato di Maria.

Deposita una sgangherata mozione di sfiducia che non porrà all’ordine del giorno (hai visto mai) e aspetta che Conte vada al Quirinale a rassegnare le dimissioni.

“L’avvocato del popolo” raccoglie in due giorni tutto il coraggio che non ha avuto in 14 mesi e lo manda a ramengo, imponendogli il dibattito e quindi una crisi parlamentare, come previsto dalla Costituzione, roba sconosciuta dalle parti del Papeete beach.

L’affare si complica.

Ha scrollato l’albero ma le pere non sono cadute.

In Parlamento, il giorno del dibattito, le telecamere solitamente benevole con lui, lo inquadrano smarrito e stanco.

Ha anche commesso l’errore di sedersi al banco del Governo, a fianco di un Conte che intanto si levava dalle scarpe tutti i sassolini accumulati in 14 mesi di tutela giallo verde (invero, più verde che gialla) e poi lo affonda tenendogli una mano sulla spalla.

In un moto di (tardiva) dignità, il Professore va quindi al Colle e si dimette aprendo la più surreale delle crisi di Governo.

Intanto il “capitano” dismette le braghette da bagno e tenta di assumere quel contegno ministeriale che non ha mai avuto.

Al chiuso di quello studio del Viminale che conosce così poco, con la testa tra le mani ed i gomiti appoggiati su quella scrivania che fu di Giolitti, si accorge di essersi cacciato in un bel guaio, perché nel frattempo l’altro Matteo, che già lo aveva mazzolato in Senato durante il dibattito parlamentare, con una spettacolare piroetta apre ad un governo giallorosso.

Soprattutto perché il voto anticipato gli farebbe perdere gli ascari piazzati in Parlamento durante la sua gestione del PD.

Musica celestiale per Di Maio, falcidiato nei consensi da Salvini durante gli ultimi mesi.

Cosa abbastanza prevedibile del resto.

E’ accaduto infatti che mentre Giggino si baloccava – peraltro in modo inconcludente -tra avidi pizzaioli e raiders incazzati, il suo partner spediva telecamere e guardia costiera a Lampedusa per bloccare la “marea nera”.

Che intanto alla spicciolata sbarcava tranquillamente a Isola Capo Rizzuto.

Fatto è che Salvini macinava consensi in una italia incattivita, e lo faceva per lo più a scapito degli sprovveduti grillini.

Ma adesso, messo con le spalle al muro, “il capitano” non sa che pesci pigliare.

L’indole gli  suggerisce di aizzare le piazze.

Qualcuno del suo fan club gli fa notare che è pur sempre il Ministro degli Interni, per quanto lui tenda spesso a dimenticarlo.

Allora mette su la faccia da pugile suonato e tra un piagnisteo e un altro inizia l’imbarazzante corteggiamento dell’ex sodale.

Che non si fa irretire.

E nonostante la promessa della premiership, lo manda allegramente a mietere il grano, continuando a trattare con il PD e imponendo a quest’ultimi “Giuseppi” Conte come primo ministro, un nome che Zingaretti in ossequio alla necessaria discontinuità, fatica a digerire, ma che alla fine accetta, anche grazie alle pressioni di Bruxelles e del Vaticano, dove vive gente che ha molto a cuore il destino di Salvini e che generalmente non tende a dimenticare.

Intanto Di Maio ne approfitta anche per negoziare una poltrona a cui tiene molto.

La sua.

Punta i piedi, vuole continuare a fare il vice premier, i suoi prestigiosi incarichi precedenti lo impongono.

I fallimenti nelle trattative Ilva e Whirlpool passano in secondo piano.

Il bar dello Stadio san Paolo ha pur sempre raddoppiato il fatturato quando Giggino vendeva il caffè Borghetti.

Meglio tenerlo a mente.

Nel frattempo Salvini, come un disco rotto, grida al solito complotto della Merkel e di Macron contro la Lega, mentre lo pianta in asso anche Trump, che è tutto dire.

Dimenticando però che la crisi l’ha aperta lui.

Il resto è storia di questi minuti.

La palla è passata a Mattarella che di giochetti strani non vuole sentire parlare.

Vedremo come va a finire.

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