ROMA – Arrivare in Ungheria prima della caduta del muro di Berlino non era semplice come oggi ma neanche impossibile.
Si doveva chiedere un visto che normalmente veniva concesso, e poi in treno (i voli erano costosi) da Vienna si giungeva nel cuore di Budapest, nella bellissima stazione di Keleti.
Le due capitali asburgiche sono vicine, 250 km circa, ma di fatto ci si impiegava 6/7 ore di cui almeno 3 al confine per i controlli.
Era la cortina di ferro, rozza traduzione dall’inglese courtain, meglio reso con sipario di ferro, quella che divideva l’Europa, un muro che non attraversava solo Berlino ma tutta l’ Europa, dal baltico ai balcani, ma che alla frontiera ferroviaria austro-ungarica, con tutto quel filo spinato che circondava il confine, dava l’esatta immagine di quella frattura tra est e ovest.
Il viaggio di andata era più facile, nessuno scappava dall’Austria all’Ungheria. Al ritorno le cose si complicavano. I treni, fermi per ore al confine ungherese, prima di entrare in Austria venivano minuziosamente perquisiti e con essi anche i viaggiatori, si sa come sono sospettosi i doganieri.
L’immagine più terribile che ho del regime comunista ungherese è proprio quella dell’arrivo del treno ai confini del Paese. E’ difficile ancora oggi dimenticare cosa avveniva ai controlli di frontiera.
All’arrivo del treno da Budapest, i gendarmi ungheresi, dai volti sempre poco rassicuranti come quelli che vediamo oggi in Tv, si avvicinavano ai convogli che erano fermi già da ore sui binari.
Armati di una pesante sbarra di ferro, sferravano colpi sotto i vagoni per sincerarsi se qualcuno non stesse tentando di abbandonare il Paese nascosto sotto il treno in transito.
Se qualcuno si fosse nascosto sotto quei vagoni, non sarebbe sopravvissuto a quei fendenti sferrati con tanto zelo ideologico. A distanza di anni mi vengono in mente quelle immagini pensando alla ironia della Storia.
Un Paese dal quale gli ungheresi volevano fuggire a rischio della testa sfondata è tornato ad essere un campo di concentramento, con la differenza che oggi vi sono tenuti dentro quei profughi “etnicamente impuri” che hanno attraversato (solo attraversato!) o vogliono farlo, quei territori da cui sino a pochi anni fa gli ungheresi, tentavano di fuggire.
Tra questi , vi era compreso quel Victor Orban, difensore della razza bianca e cristiana, autodefinitosi liberale e democratico solo perché ha passato qualche mese ad Oxford dove a quanto pare non ha appreso molto.
Non fosse per la sofferenza che questa sciagurata politica sta producendo, si potrebbe dire che in Ungheria la tragedia del comunismo si è mutata in farsa.