Coronavirus, Fase 2: ti porta il ristorante in casa, inutile uscire. E le gambe si adeguano

Coronavirus. Due mesi di clausura mi hanno a disabituato a molte cose. Avevo la buona abitudine di passeggiare ogni giorno almeno per un’ora lungo la spiaggia. Non rinunciavo neanche d’inverno quando il vento di tramontana che ti taglia la faccia.

A gabbie riaperte nella regione dove vivo, gli Abruzzi, provo a uscire ogni tanto. Fatti i primi passi, ho la sensazione di aver disimparato a camminare. I piedi tendono a seguire movimenti non autorizzati dalla testa. Ho bisogno di riprendere la padronanza perduta. Mi sento un po’ bambino.

Già sentire i piedi andarsene per i fatti loro è un bel cruccio. È uno strabismo che comincia a preoccuparmi. Mi domando se la coincidenza non alluda alla mia venerabile età che cerco di occultare anche allo specchio.

Ma il peggio arriva dopo i miei rovelli deambulatori. Cammino come meglio mi riesce. Mi spingo fin dove il decreto consente in fase 2. E, per quanto le regole siano larghe, mi accorgo che i miei giri rimangono stretti.

Mi dico che il rodaggio va fatto con cautela. Il fermovirus mi ha un po’ atrofizzato la voglia. Sarà perché la cyclette quotidiana mi ha abituato ad altri ritmi. Sarà che il film quotidiano mi sazia e non mi affatica.

Esco di casa con aria circospetta. La fase 2 ha aumentato il traffico e sarà bene guardarsi attorno prima di attraversare la strada. Poi rinuncio ad attraversare. Evito il rischio e sto al riparo dai soliti sgommatori seriali, anche loro fuori dalle gabbie.

Mi fermo in piazza, guardo la coda alle poste, al fornaio, al pescivendolo. Ne sto alla larga. Compro un giornale e mi siedo su una panchina a inzupparmi di sole.

Mi domando che cosa mi manca per davvero. Certo un bel caffè dai napoletani, ma non si può. O una bella fetta di pastiera? Puoi ordinarla e fartela portare a casa.

Una mezzamanica alle triglie della mia trattoria preferita? Anche quella puoi averla ma a casa.

Insomma non posso andare da nessuna parte, ma posso portare il mondo a casa mia.

Ora capisco perché i miei piedi fanno a gara a frenare la mia passeggiata. Si sentono inutili. A che servono se non posso andare dove mi porta l’acquolina? 

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