Coronavirus mi ha riportato in chiesa (aperta grazie al Papa) dopo 40 anni. Prego per mio cugino infettato

Coronavirus mi ha riportato in chiesa (aperta grazie al Papa) dopo 40 anni. Prego per mio cugino infettato
Coronavirus mi ha riportato in chiesa dopo 40 anni. Prego per mio cugino infettato (nella foto la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Pescara)

PESCARA – Coronavirus. In piazza Sacro Cuore della città dove vivo, Pescara, ci sono due edicole che si disputano i pochi compratori di giornali.

Il vigile con la mascherina mi fa cenno di fermarmi. Dove sto andando? Ho comprato i miei quotidiani di abitudine e, prima di tornare a casa, vorrei affacciarmi in chiesa.

Il vigile mi guarda un po’ perplesso, ma capisce o fa finta di capire. Lui ed io sappiamo che non c’è folla da contagio, in chiesa.

Infatti siamo in tre, per cinquecento posti nei banchi con inginocchiatoio. Il simulacro della Madonna è circondato dal vuoto, uno sguardo rassegnato.

La Madonna sembra guardarmi e chiedersi che ci faccio io lì. Non mi ha mai visto prima.

Si vede che sono un estraneo. Prego, non so come.

Un mio cugino a cui sono molto legato, anche se viviamo da mezzo secolo in due città lontane fra di loro, combatte in rianimazione, ghermito dalla Bestia che in questi giorni ci tiene serrati in casa.

È più giovane di me, mi ricordo quando lui è nato, io che all’epoca mi avvicinavo ai dieci anni.

Il Coronavirus l’ha scelto per la sua razzia. Io non entro in chiesa da una quarantina di anni.

Ma non so che altro fare per stare vicino a mio cugino. Proverò a pregare, ultima risorsa di chi altre risorse non ha.

Non sono credente, non lo sono più, Sento che non è importante crederci, è importante pregare.

Non riuscirei a spiegarlo a un teologo, ma sento che va bene così. Vorrei piangere, non ce la faccio.

La chiesa, per fortuna aperta, è un deserto. Tre oranti, neanche tutti e tre credenti.

Lontani, lontanissimi, non c’è rischio di contagio, certo meno che all’edicola.

Mi domando perché si è tanto discusso se considerare la chiesa luogo di pericoloso contagio.

I vescovi avevano deciso di chiudere le chiese, in ossequio alla ragion di Stato e di epidemiologia. Idea laica e razionale, in questo momento.

Papa Bergoglio ha deciso di riaprirle, perché il cristiano ha bisogno di Dio, specie in tempi sventurati.

Non siamo nel ‘600 di Carlo Borromeo e della peste a Milano. La fiducia nella scienza ha sostituito la preghiera.

Lo sa anche il Papa venuto dalla fine del mondo. Niente assembramenti, no alle messe, alle cerimonie sacre e ai funerali. E va bene.

Ma un poverocristo solitario che voglia pregare il padreterno non è l’untore manzoniano.

A distanza da decreto, pregare non è il pericolo. Può essere anche un sollievo per gli smarriti dell’umanità, anche a prescindere dalla fede. 

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