Gino Paoli, nella stanza mi è caduto il cielo degli dei

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 22 Febbraio 2015 - 13:55 OLTRE 6 MESI FA
Gino Paoli, nella stanza mi è caduto il cielo degli dei

Gino Paoli ha fatto cadere un mito della sinistra

La faccenda di Gino Paoli evasore o quella dei pagamenti in nero al Grinzane Cavour non mi hanno per nulla sorpreso. Sarà che, dopo averne viste tante, nulla più ti sorprende nella vita. Sarà. Perché sono un esibizionista dello scetticismo studiato? Non credo. Piuttosto perché non penso che il mondo sia diviso fra buoni e cattivi. Penso che, a sinistra e a destra, gli uomini abbiano tutti le stesse debolezze. Che sia regola abbastanza comune il predicare bene e razzolare male. Discendiamo tutti da Adamo ed Eva, due tipi che di debolezze si intendevano.

Gino Paoli, dunque, nasconde in Svizzera un paio di milioni di euro, che per molti è sempre meglio che darne la metà alla sanguisuga del Fisco italiano, che poi è solo lo strumento di un sistema politico che prospera sulla nostra crescente povertà. Messo che sulla sanguisuga siamo tutti d’accordo, uno pensa che un genio imperituro dell’arte canora, una bandiera della sinistra, debba essere anche coerente nella vita di tutti i giorni.

Bella utopia. Le utopie non fanno male, aiutano a sognare il mondo più giusto che ha da venire, ma ogni tanto ritornano indietro come boomerang e ci tramortiscono con un colpo ben assestato alla nuca.

Stesso ragionamento vale per “la macchina del fango” di Giuliano Soria, il dispensatore dei premi letterari torinesi, che sta infangando fior di moralisti cercando, se riuscirà a provarlo, di colpirli nella loro doppia veste di furbetti. Se ne occuperanno i giudici e non va bene fare nomi solo perché Soria li fa, magari per vendicarsi (visto la pesante condanna inflittagli dai giudici,14 anni e sei mesi in primo grado). Ora, sarà pure fango di vendetta, ma l’impressionante fiume di soldi che girava al Grinzane Cavour doveva avere una fonte e una foce. È nella natura dei fiumi che, quando straripano, portano fango dappertutto.

Le due edificanti storielle portano a due considerazioni. Il premio letterario di Torino ha scoperchiato traffici noti, finanziati da sponsor privati e generosità pubblica (le nostre tasse). Non c’è molto da dire su quelli che li grattavano con le unghie e con i denti, e con buona pace del fisco.

Diversa è la storia del cantautore genovese. Paoli e tutti gli artisti di sinistra intascavano parte dei loro generosi compensi (pare anche in nero) alle feste dell’Unità. Le quali feste si finanziavano con il lavoro gratis di migliaia di militanti, che rinunciavano alle ferie per accelerare l’arrivo del sol dell’avvenire. Il glorioso giornale l’Unità veniva diffuso porta a porta da migliaia di compagni che ci credevano sul serio al socialismo. Adesso, per loro fortuna, quel popolo di eroi è in parte sottoterra e in parte disperso. Ma per coloro che immaginano ancora mondi nettamente divisi fra buoni e cattivi, vedere i loro miti comportarsi come burlosconidi qualunque dev’essere dura.

L’affare Paoli li aiuta a capire che il loro mondo è assai cambiato, o non c’è mai stato se non nei loro sogni di consolazione.