Pescara, la deriva di una città da fascista a leghista

di Antonio Del Giudice
Pubblicato il 4 Luglio 2020 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
Pescara

Pescara – Municipio di Pescara (fonte Eleonora Sasso)

Il Coronavirus non c’entra, almeno così pare. Ma, in tempi di virus politici planetari, gli effetti possono essere sorprendenti.

Conseguenze collaterali. Ne intravvedo una nella storia dei due ragazzi gay pestati a sangue a Pescara.

La vicenda è nota ed ha fatto il giro degli opinionisti dei maggiori quotidiani e dei talk show in tutte le salse. Un gruppazzo di piccoli delinquenti ha fatto a gara nel massacrare due coetanei che passeggiavano mano nella mano.

Ben più di una gaffe

Lo scandalo dei massacratori è finito in secondo piano, rispetto alla gaffe istituzionale, e dico gaffe per non dire di bagno di melma. La maggioranza di centrodestra che amministra la città ha tentato di glissare maldestramente.

Va bene la visita del sindaco ai ragazzi pestati, ma basta così. Niente condanne pubbliche, niente iniziative giudiziarie, niente se non i saluti e baci. Il sindaco si è giustificato: dobbiamo difendere il buon nome della città.

Io, per uno strano caso della vita, vivo a Pescara. Da ragazzino sapevo che era la stazione ferroviaria intermedia fra Bari e Bologna. Crescendo, avevo scoperto il D’Annunzio poeta nazionale, scrittore eccelso, fascista, aviatore, ideologo del Piacere.

Mi domando da due giorni se il Poeta sarebbe stato così banale. Se, tollerante e inclusivo qual era, non avrebbe fatto sentire la sua voce. Cioè se avrebbe condiviso la cautela codina della “Città dannunziana” di oggi.

Pur non abitando nella testa del Poeta, direi a occhio e croce, che Lui si sarebbe posto la questione contraria. Il buon nome della città si difende condannando i violenti, i razzisti, gli stronzi. Piuttosto la gogna, non il contrario.

Conosco il sindaco di Pescara

Conosco il sindaco di Pescara Carlo Masci. Una brava persona, un avvocato forzista del primo berlusconismo che tiene alla pescaresità e alle sue poliedriche manifestazioni. La decisione della sua maggioranza però non mi sorprende.

Lo dico perché, in un quarto di secolo di mia residenza, ho visto mutare la pelle di questa città, ma non la sua sostanza. La quale sostanza, negli ultimi cinque anni, ha però assorbito un umore leghista e salviniano feroce e profondo.

La città era dannunzianamente libera e trasgressiva, a prescindere che fosse amministrata da destra o da sinistra. Aveva una sua riconoscibilità. Una radice che derivava dalla modernità del suo fascismo fondatore, neanche cento anni fa.

A quel tempo era un borgo di mare, poco più di ventimila abitanti. Il suo sviluppo come nodo ferroviario aveva portato gente da tutta Italia. Il ministro Acerbo era stato il suo nume tutelare. Pescara strappava all’Aquila il primato regionale.

La storia dei ragazzi pestati e dei coetanei “graziati” ci racconta di una città dove la libertà è diventata arbitrio. Dove puoi pestare chi è diverso da te.

Mentre la nuova aria leghista, un giorno si e l’altro pure, invoca l’esercito contro quattro mendicanti che deturpano lo struscio.