ROMA – Effetto Berlusconi: sui giornali, sulle tv, sui sondaggi e sullo spread. Perfino sulla classifica di Serie A. Il Cavaliere ha seminato nel weekend e ha vendemmiato il lunedì: ha raccolto aperture di telegiornali, prime pagine, risalita della sua coalizione nelle intenzioni di voto e risalita dello spread.
Berlusconi ha monopolizzato il palcoscenico elettorale, oscurando tutti gli altri protagonisti. Prima l’acquisto di Balotelli, poi l’attesa dell’annuncio choc, quindi lo choc: “Italiani, vi restituisco l’Imu“. Promessa per niente smentita, anzi rilanciata il giorno dopo da un’altra: quella del “condono tombale” per tutti quelli che hanno visto arrivare a casa una cartella esattoriale di Equitalia.
Nessun altro può avere la faccia tosta adatta per fare la campagna che Berlusconi sta conducendo. Solo lui può presentarsi – con successo – agli italiani “vendendo” l’impossibile e facendo finta di non aver governato per 10 anni negli ultimi 18 con le maggioranze più ampie. Non riesce a farlo Mario Monti, che pure quanto a promesse non si è risparmiato, non vuole farlo Pier Luigi Bersani, che finora ha giocato la partita elettorale tutta sulla difensiva, ponendosi come quello affidabile che non ha bisogno di conigli nel cappello per vincere le elezioni.
Ma il 40% del quale il centrosinistra era accreditato alla fine delle primarie è un lontano miraggio. I sondaggi – è vero – sbagliano, sono troppi, sono discordanti. Però in una tendenza sembrano concordare. Le alleanze guidate da Bersani e da Berlusconi, partite da posizioni molto diverse, si muovono lentamente ma in maniera costante verso lo stesso traguardo: il 30%. Per Berlusconi è “profumo di vittoria”. Significa l’ingovernabilità, fare il bello e il cattivo tempo nella prossima legislatura, a partire dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
Oltre al lento calo del Pd e alla lenta crescita del Pdl, interessanti sono i movimenti degli altri partiti. Nel centrosinistra si è dimezzata Sel, dal 6% di ieri al 3% di oggi. Vendola paga la sua scelta “governativa” e la prospettiva che il governo si farà non solo con l’ala libdem del Pd, ma alla fine anche con quel Monti che per mesi è stato dipinto come il vero “nemico”. Dell’erosione dei consensi a sinistra se ne avvantaggia, ma non troppo, Rivoluzione Civile di Ingroia, formazione che nella migliore delle ipotesi porterà in Parlamento una pattuglia di deputati e quattro-cinque senatori.
Mentre continua a crescere, veleggiando verso quota 20%, l’inesorabile Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che sta conducendo una campagna elettorale di piazza in piazza, opposta a quella tutta televisiva di Berlusconi ma non per questo meno efficace. Non si scrosta dal 12-15% la coalizione guidata da Monti, nella quale Scelta Civica sta cannibalizzando i consensi di Udc e Fli. Da segnalare, alla destra del Pdl, la tenuta della Lega Nord, che non solo non è sparita, ma è ritornata sopra il 5% e si avvantaggerà della concomitanza fra le elezioni politiche e le regionali in Lombardia, nelle quali il segretario dei leghisti Roberto Maroni è candidato presidente.
Effetto Berlusconi, effetto ingovernabilità. Se ne sono accorti anche i mercati: Milano è la borsa peggiore d’Europa, lo spread ritorna sopra quota 280, Wall Street Journal e Financial Times titolano allarmati sull’Italia, il Paese ritorna al centro delle attenzioni preoccupate della comunità internazionale. Il problema non è che vinca Bersani o vinca Giannino, ma che non vinca nessuno. Ovvero che vinca ancora l’ineffabile presidente del Milan (2-1 sull’Udinese, doppietta di Balotelli, Inter raggiunta, zona Champions a tre punti).
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