ROMA – Fiscal compact, vincoli di bilancio, scarse risorse fiscali: il prossimo governo non potrà scartare dai binari dell’austerity. Se non sarà un Monti-bis, sarà una prosecuzione del montismo con altri interpreti, siano essi il favorito Pier Luigi Bersani, l’improbabile Silvio Berlusconi o il favoleggiato Corrado Passera. Analisi pessimista? Vediamone i punti chiave.
Fiscal compact, il “patto di bilancio”. L’origine di tutti i Monti: impone vincoli di bilancio, quindi di spesa. Alla fine di politica. L’Italia dovrà ratificare il trattato il 1° Marzo 2013, vale a dire nove giorni prima della data più probabile per le prossime politiche, l’election day del 10 marzo.
Se l’Italia dirà “no” al Fiscal compact, verrebbe meno l’Esm, il fondo salva-Stati, la contropartita che Francia e Italia in testa ai Paesi del sud dell’Europa hanno chiesto per bilanciare l’eccesso di rigore tedesco che ispira il Fiscal compact. Se viene meno la protezione del fondo salva-Stati, che ha come scopo l’acquisto dei bond emessi dai Paesi europei in difficoltà, la speculazione tornerebbe a far risalire lo spread, provocando nell’ordine panico nelle borse, panico nelle banche, crisi dell’euro.
Se l’Italia, come è più che probabile, dirà di sì al Fiscal compact, dovrà mantenere il deficit strutturale entro lo 0,5% del Pil. In più, ogni anno dovrà ridurre di un ventesimo il debito pubblico, per arrivare a un rapporto debito/Pil del 60%. Ora siamo intorno al 120%. Il Fiscal compact prescrive che in 20 anni dobbiamo dimezzare il debito pubblico. Ai prezzi e alle cifre attuali, si tratta di ridurre ogni anno di 45 miliardi di euro il debito. Il prossimo governo vorrà tagliare le tasse? Aumentare la spesa? Non potrà fare nessuna delle due cose. Mentre, se il Pil non dovesse avere un’improvvisa impennata, quella cifra dovrà procurarsela usando la mannaia di cinque manovre finanziarie, una per ogni anno di legislatura.
Se invece il prossimo presidente del Consiglio, i suoi ministri e la sua maggioranza non vorranno seguire il dettato del Fiscal compact, incorreranno nelle sanzioni europee, che scattano “nel caso di deviazioni significative osservate dall’obiettivo di medio termine”.
Prima ancora, si troverà ad essere corretto, in automatico, dalla Troika e dalla Supertroika, due organismi indipendenti – italiani – composti da sei persone in tutto, che dovranno controllare che sia rispettato l’obbligo del pareggio di bilancio, inserito nel nuovo articolo 81 della Costituzione e operativo dal 28 febbraio 2013.
Non bastassero tutti questi percorsi obbligati, c’è anche quello che prescrive al prossimo governo italiano di sottoporre le leggi di bilancio prima all’Unione europea e poi al vaglio del nostro Parlamento. Se non rispetterà gli obiettivi di medio termine e i tempi previsti per entrare nei parametri (fissati sempre dal Fiscal compact), ogni legge sarà rispedita al mittente piena di correzioni.
Se un governo vuole fare di testa sua si troverà davanti il muro del “programma di Partnership” col quale la Commissione europea potrà “marcare stretto” un Paese, costringendolo a un piano di riforme strutturali. In più ogni aderente al Fiscal compact può trascinare un’altro Stato membro davanti alla Corte di giustizia Ue, se sospetta violazioni degli accordi in materia di bilancio e di spesa.
Questo è il ragionamento messo in fila da Carlo Bastasin del Sole 24 Ore: in pratica l’unico governo possibile è un esecutivo che assomigli molto a quello di Monti. Tagli, tasse e grande coalizione. Ma è un ragionamento tutto dentro all’ideologia liberista e rigorista, la stessa seconda la quale la Francia era più stabile con Nicolas Sarkozy e sarebbe finita in rovina con Francois Hollande. A sei mesi dall’elezione del presidente socialista, la Francia è un po’ più credibile e stabile di prima.
Il Fiscal compact però, è sempre lì, con la matassa – per ora inesplosa – di obblighi da rispettare. Ma rinegoziare il Fiscal compact si può, senza per questo far saltare l’euro? Si può uscire dalla spirale debito-rigore-tasse-calo dei Pil-calo dei consumi-deflazione-ancora più debito? Insomma si possono rimodellare a misura d’uomo le politiche di austerity senza distruggere l’Europa? A rispondere a queste non facili domande è comunque più qualificato un governo “politico” di un governo tecnico e non eletto.