ROMA – “La Grecia è fallita per la seconda volta in un anno” e nessuno ne ha parlato, sicuramente non in questi termini: così l’economista Guido Viale sul Manifesto legge l’operazione di buy-back da 31,9 miliardi di euro, con la quale la Grecia ha ricomprato una quota del proprio debito pubblico, circa la metà dei 63 miliardi di bond dello Stato greco in mano a privati, per lo più hedge fund o banche elleniche.
I bond sono stati ricomprati a un prezzo stimato in circa un terzo (33,8% per l’esattezza) del loro valore. Con questa mossa, spendendo circa 20 miliardi “di tasca sua” e usando 10 miliardi presi (in bond) dal’Esm (il Fondo salva-Stati) il Tesoro greco è riuscito a tagliare di 20 miliardi di euro il proprio debito pubblico, vale a dire i due terzi di quanto ha speso nell’operazione di buy-back.
La Grecia così è più vicina all’obiettivo di portare il proprio debito pubblico al 124% entro il 2020 e al 110% entro il 2022. Ad oggi il debito ammonta a circa 370 miliardi di euro, il 170% del Prodotto interno Lordo greco, che nel 2012 dovrebbe attestarsi intorno ai 220 miliardi.
Il successo del buy-back lanciato dalla Grecia ha fatto scendere ai primi di dicembre lo spread fra tutti i bond pubblici degli Stati dell’Europa meridionale e i bund tedeschi. In particolare i Btp italiani – fra il 3 e il 4 dicembre, prima della “provvidenziale” reintree di Berlusconi – sono scesi per qualche ora sotto quota 300. I titoli di Stato greci in quelle ore davano un interesse del 14,6%, per la prima volta sotto il 15% (uno spread di “soli” 1.324 punti base) da quando la Grecia ha iniziato a ristrutturare il debito.
Questi i numeri, questa l’interpretazione dell’economista Viale:
“Per la seconda volta nel giro di un anno o poco più lo Stato greco è fallito: cioè ha ristrutturato il suo debito con una manovra che altrove si chiama default, e che consiste nella decisione di rimborsare solo in minima parte un debito in scadenza; una specie di “concordato preventivo”. […] Se quella ristrutturazione fosse stata fatta tre anni fa, allo stesso costo, l’economia greca sarebbe ancora in piedi e l’euro e l’Unione europea non ne avrebbero subito i contraccolpi che hanno spinto l’intero continente (Germania compresa: anche lì la crisi è alle porte) verso il cosiddetto double dip: cioè una ricaduta nella crisi molto peggiore della prima.
Secondo Viale, intorno al debito greco si è innescato un circolo vizioso, per il quale gli hedge fund – che hanno provocato la crisi dei debiti privati prima e sovrani poi – sono stati i primi ad avvantaggiarsi della crisi, mentre i lavoratori dipendenti e precari e i pensionati sono stati quelli che hanno pagato più cara la crisi e le soluzioni (tagli e tasse) proposte dai governi per superare la crisi:
[…] Ma è molto interessante il meccanismo di questo secondo default della Grecia. Il governo greco ha ricomprato una grande quantità di propri titoli di debito (ormai considerati carta straccia) pagandoli un terzo del loro valore di emissione. Per farlo ha utilizzato fondi concessi dall’Esfs (il cosiddetto “fondo salvastati”) che a sua volta li ha avuti in prestito dalla Bce. Questi fondi sono garantiti da tutti gli Stati dell’Eurozona, i cui debiti pubblici sono così aumentati in misura proporzionale ai rispettivi Pil. E fin qui, niente di male: solidarietà, si potrebbe dire. Ma a chi sono finiti i fondi con cui il governo greco ha ricomprato quei titoli? In parte alle banche greche, sull’orlo del fallimento per le operazioni speculative che hanno messo in atto negli anni passati.
Per questo il Governo greco si appresta a sostenerle con un’altra tranche di un nuovo prestito concesso dalla Troika, utilizzando anche in questo caso fondi dell’Esfs. Con questa operazione, da un lato le banche ci perdono, perché rivendono a 10 quello che avevano comprato a 30 (ma che in realtà non valeva più niente). Dall’altro vengono ricompensate con denaro fresco, che non saranno mai più in grado di restituire (pronte, magari, a utilizzarlo in nuove operazioni speculative).
Ma in parte a rivendere al governo greco quei titoli sono stati degli hedge fund (fondi speculativi) che li hanno comprati da chi ancora li deteneva per niente, o quasi, sicuri di poterli rivendere a un prezzo molto più alto, anche se inferiore al loro valore nominale, una volta che la Troika avesse imposto al Governo greco di ricomprarli. Si tratta di quegli stessi hedge fund che con le loro manovre governano come vogliono i cosiddetti “mercati”, per lo più con operazioni “allo scoperto”: cioè vendendo titoli che non hanno ancora o comprandoli senza avere il denaro per pagarli, giocando sulle oscillazioni degli spread che essi stessi provocano con queste operazioni.
In sostanza il circuito è questo: il governo Monti, e prima di lui quello Berlusconi, mettono alla fame pensionati, lavoratori, studenti e disoccupati per ridurre la spesa pubblica e pagare gli interessi sul debito. La Bce da un lato finanzia a costo zero le banche che comprano quel debito, ricavandone lauti interessi; dall’altro finanzia, sempre a costo zero, l’Esfs, il quale finanzia il governo greco, il quale ricompra i propri titoli a un prezzo che fa guadagnare somme astronomiche agli speculatori che li hanno acquistati a pochi euro. Per la proprietà transitiva della finanza, quello che Monti – e il Monti che verrà dopo di lui, e il Berlusconi che è venuto prima di lui – sottrae a lavoratori, disoccupati e pensionati finisce, dopo un giro tortuoso, nelle tasche degli speculatori che lo usano per mettere alle corde il Paese. Si tratta di un meccanismo ben collaudato.
Le conclusioni di Viale sono in un certo senso sorprendenti: per uscire dalla crisi bisogna tagliare il debito pubblico italiano ora, ma non con politiche di rigore, bensì con una “ristrutturazione” che assomiglia molto al “buy-back” fatto adesso dai greci:
Se ne ricava che senza una ristrutturazione del nostro debito pubblico, fatta prima che questa ci venga imposta, come alla Grecia, solo come misura per salvare banche in crisi e ingrassare speculatori d’assalto, l’Italia non potrà adottare autonomamente alcuna vera politica: né economica, né industriale, né sociale, né culturale e nemmeno civile (saremo sempre ostaggio anche del Vaticano, che di finanza, alta e bassa, se ne intende parecchio).
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