Quando J.P. Morgan era la soluzione e non il problema

NEW YORK – Jp Morgan Chase: una delle prime banche d’affari al mondo, 90 milioni di clienti, quartier generale a New York. È un nome che ricorre quando si parla dello strapotere della finanza, associato spesso in chiave negativa alla bolla dei subprime. Quelli di Jp Morgan “sapevano tutto”: e sono finiti, non metaforicamente, sotto accusa.

Uno dei simboli della finanziarizzazione selvaggia dei mercati di oggi porta il nome di John Pierpont Morgan, nato esattamente 176 anni fa e morto 100 anni fa, uno che voleva passare alla storia come lo “stabilizzatore” del capitalismo americano. Uno che Cesare Geronzi avrebbe definito un “banchiere di sistema”. Solo che un sistema non c’era. E neanche una banca centrale. Correva l’anno 1907 quando J.P. Morgan risolse la prima grossa crisi finanziaria del Novecento comportandosi come una banca centrale e creando un sistema.

L’hanno chiamata “panico del 1907“, “panico dei banchieri”, “Knickerbocker crisis”, “bolla delle ferrovie”: ognuno di questi nomi ci racconta uno degli aspetti della crisi.

Quando scoppiò J.P. Morgan aveva 70 anni. Nato il 17 aprile 1837 ad Hartford (Connecticut), figlio del banchiere capostipite, il fondatore della J.S. Morgan & Co. Junius Spencer Morgan, che quando morì nel 1890 gli lasciò un’eredità di 10 milioni di dollari di allora (255 milioni attuali). Alto, robusto, non proprio bellissimo, John Pierpont aveva un aspetto reso particolare dal rinofima, una malattia che gli aveva fatto diventare il naso grosso, rosso e pustoloso. Sin da giovane soffrì di depressioni e problemi psicologici.

Ma questo non gli impedì, in una classifica stilata da Condé Nast, di piazzarsi come il secondo miglior manager di tutti i tempi. Mentre Forbes lo colloca al 59° posto fra gli uomini più ricchi di sempre. Iniziò con la siderurgia, poi si occupò di tutto (telecomunicazioni, energia, industria mineraria, ferrovie) spesso con successo. Tanto che il termine “morganizzazione” celebrò la sua capacità di prendere imprese sull’orlo del fallimento, riorganizzarle e farle diventare redditive. Riorganizzare, stabilizzare e fondere: John Pierpont fu l’uomo delle fusioni. Fra le quali spicca quella, datata 1892, fra Edison General Electric e Thomson-Houston Electric Company: così nacque, con la regia di J.P. Morgan, la General Electric.

Se lui si vedeva come uno stabilizzatore, tanti lo vedevano come un accentratore e un pericoloso monopolista. Una vignetta satirica del 1910 raffigurava J.P. Morgan con “le mani sulla città”: si accaparrava i grattacieli di New York come fossero un piatto di poker. Nella didascalia c’era scritto: “La banca centrale — Perché lo Zio Sam dovrebbe fondarne una, quando lo Zio Pierpont è già al lavoro?” In un’altra vignetta si vede lo Zio Sam che sembra un nano in confronto a J.P. Morgan. Stanno su una barca e a remare è il banchiere. “I Like a little competition”, c’è scritto in una terza vignetta: l’enorme J.P. beve da un’enorme bottiglia di “Monopoly whiskey” spruzzandola con una boccetta di soda “Competition”.

Così veniva percepito all’inizio del secolo scorso. E del resto, in un’epoca nella quale industria e finanza correvano sui binari dei treni, J.P. Morgan controllava l’acciaio con il quale venivano fabbricati, il carbone che ne alimentava i motori e… le aziende ferroviarie. Avere un azione di una società di treni era così redditizio che i titoli venivano usati come garanzia per i prestiti. E proprio il crollo del loro valore fu l’epicentro della crisi del 1907. Continua a leggere dopo le immagini

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