Monti “lascia” Bersani, Berlusconi “abbraccia” Maroni: il gioco (elettorale) delle coppie

ROMA – Il giorno delle coppie, degli abbracci finti forse quanto i litigi, e di un divorzio vero. Monti e Bersani, Bersani e Vendola, Berlusconi e Maroni, Giannino e Zingales. Sullo sfondo il solitario Beppe Grillo, che continua la sua “separazione di fatto” con la tv, evitando i palinsesti televisivi, anche quelli satellitari di Sky, e imperversando allo stesso tempo sui telegiornali che trasmettono le tappe del suo Tsunami Tour nelle piazze (piene) d’Italia.

Mario Monti e Pier Luigi Bersani. Mai così lontani. La rima baciata risente dell’atmosfera sanremese e delle dichiarazioni dell’ultimo lunedì prima del voto, che è anche il giorno in cui la distanza fra il premier uscente e il segretario del Pd raggiunge il suo record. Il Monti gelido che dichiara ”Io non ho e non avrò niente in comune con questa coalizione di sinistra” sta delimitando il territorio? Sta cercando di tirarsi fuori dalle sabbie mobili di un risultato sotto il 10% (come Berlusconi ama ripetere nei suoi ultimi comizi tv)? Sta tentando di acchiappare voti di centrodestra garantendo che non contribuiranno a un governo con Vendola? C’è più del calcolo elettorale che dei problemi umani e politici nell’allontanarsi di Monti dal centrosinistra e da un partito, il Pd, grazie al quale ha governato per un anno e mezzo.

Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola. Per un Monti che si allontana, due alleati che si avvicinano sempre più l’uno all’altro per provare a vincere da soli, a convincere gli elettori di sinistra che il loro voto non servirà a un governo con i tecnici liberisti di “Scelta Civica”, con l’Udc di Casini e con gli ex missini di Fini. Se Monti dichiara di non avere “niente in comune” con l’alleanza di “Italia bene comune”, allora Vendola non si sente più “un cagnolino nel salotto del centrosinistra al guinzaglio dell’alleanza con Bersani”. Tutto va bene, ma se in Lombardia e in Sicilia al Senato vince il centrodestra, la coppia Bersani-Vendola attraverserà giorni difficili.

Silvio Berlusconi e Roberto Maroni. Prima le minacce, poi gli abbracci. Fa tutto Berlusconi, e in meno di 12 ore. Maroni tace, sornione. Il Cavaliere al mattino ipotizza scenari di vittoria, e va così oltre da immaginare anche le difficoltà all’orizzonte di un nuovo governo Pdl-Lega. Tu mi ostacoli le riforme? Io ti faccio cadere le giunte nelle Regioni del Nord. Questo, in sintesi, il Berlusconi-pensiero la mattina: “Credo che avremmo mano libera”. Ma nel pomeriggio i due leader si incontrano sul palco, a Milano, dove Maroni corre la “sua” partita, quella da candidato governatore in Lombardia. Prima ti minaccio, poi ti abbraccio: benvenuto nel mondo di Arcore, che ricorda tanto quello dei film di Martin Scorsese sui “goodfellas”: “La Lega sarà un’alleata solida e leale al governo”. E ancora di più all’opposizione

Oscar Giannino e Luigi Zingales. Più che il blazer (viola) poté il master (falso). Giannino, il pittoresco giornalista economico e leader di “Fare per Fermare il declino”, dichiara di aver frequentato un master alla Chicago Booth. Che però non ha mai frequentato. Zingales, economista, alla Chicago Booth ci insegna. E certe piccole bugie, che in questa poco liberista e cattolica Italia sono tollerate anche troppo, nella luteran-calvinista America non sono perdonate. Men che meno nel mondo accademico. Ed è paradossale che sia proprio una scuola di Chicago a dividere due super-liberisti. Zingales, che aveva fondato con Giannino “Fermare il declino”, dà le dimissioni: non vuole perdere la faccia. Peccato però che non ce l’aveva mai messa, visto che aveva rinunciato a candidarsi.

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