CITTÀ DEL VATICANO – Non sarà italiano, non sarà anziano, e forse non sarà nemmeno europeo: l’identikit del prossimo papa si va definendo per esclusioni. Lunedì 11 marzo, data della probabile prima votazione del conclave, difficilmente uscirà dall’urna il nome di un italiano.
Dopo i 27 anni di pontificato del polacco Karol Wojtyla e gli otto anni del tedesco Joseph Ratzinger, sono 35 anni che non si vede sul soglio di San Pietro un papa italiano. Ma nel “governo” vaticano i nostri connazionali hanno mantenuto un peso sproporzionato: è vero che l’Italia è la nazione europea con più cattolici, ma parliamo sempre di 50 milioni su 1,2 miliardi di cattolici nel mondo.
Invece il segretario di Stato, in pratica il presidente del Consiglio vaticano, è stato per oltre 400 anni sempre un italiano, tranne due eccezioni. Fra i 115 cardinali elettori del conclave, l’Italia è super rappresentata: 28 componenti, circa un quinto del totale.
Eppure appare sempre meno probabile l’elezione di un italiano. Pesano le opacità – tutte “made in Italy” – nella gestione della Curia e dello Ior, venute fuori solo in parte con lo scandalo Vatileaks. E le dimissioni di Benedetto XVI sono suonate anche come un atto d’accusa alla corte degli italiani che circonda un monarca sempre più isolato e impotente. Un atto d’accusa che non può non riguardare il segretario di Stato e camerlengo fino all’elezione del nuovo papa, Tarcisio Bertone.
Rimangono comunque nella rosa dei “papabili” i nomi di Angelo Scola (72 anni a novembre), arcivescovo di Milano, e di Gianfranco Ravasi (71 anni a ottobre), “ministro della Cultura” in Vaticano. Fra gli europei sono quotati l’arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, 68 anni, ratzingeriano e allo stesso tempo uomo del dialogo con cristiani ortodossi e con l’Islam. In crescita anche le azioni dell’ungherese Peter Erdo, 61 anni a giugno, uno dei più giovani nel conclave, teologo e arcivescovo di Budapest, al quale viene attribuita una “personalità molto più dura che carismatica”.
Al nuovo papa verranno sicuramente richieste forza fisica e tenuta psicologica (nessuno vuole un bis delle dimissioni di Ratzinger): il fattore anagrafico è antipatico, ma avrà un suo peso. L’altra variabile da considerare è il “cambiamento”: bisognerà eleggere un qualcuno che sia percepito come “nuovo” o che perlomeno dia l’impressione di novità.
Per questo il discorso del papa non europeo è tornato di prepotente attualità. Uno dei nomi più ricorrenti è quello di Odilo Pedro Scherer, 64 anni a settembre, cardinale brasiliano di origini tedesche. Il Sudamerica è il continente con più cattolici al mondo. Nel 2005 fu un sudamericano, l’argentino Jorge Mario Bergoglio, gesuita, il principale concorrente di Ratzinger in Conclave. Membro della Commissione cardinalizia che vigila sullo Ior, Scherer non è digiuno di Curia e di implicazioni economiche del potere temporale. Comprensivo con la scelta di Ratzinger, il cardinale brasiliano ha preso una posizione cerchiobottista nello scontro fra Chiesa di Roma e teologia della Liberazione che lo mette in buona luce in vista del Conclave, magari accoppiato, in un ticket tutto sudamericano, con l’argentino Leonardo Sandri come segretario di Stato.
Un’altra figura di affidabile pontiere, di diplomatico, è quella del cardinale canadese Marc Ouellet, 69 anni a giugno, prefetto della congregazione dei vescovi. Schierato nettamente, nel laicissimo Canada, contro aborto, eutanasia e matrimoni gay, Ouellet ha però dalla sua la conoscenza diretta e “da tecnico” delle diocesi sudamericane e africane. Per questo il teologo di scuola ratzingeriana sarebbe ben visto dagli elettori non europei, anche se dichiarò che “diventare Papa sarebbe un incubo”.
Meno diplomatico ma più combattivo è il profilo del sessantottenne americano (di origini irlandesi) Sean O’Malley, frate cappuccino mandato a fare l’arcivescovo di Boston per ripulire una diocesi macchiata dagli scandali dei preti pedofili. Missione difficile che svolse con un piglio pastorale e una verve che lo ha portato a criticare apertamente l’ex segretario di Stato Angelo Sodano per aver ostacolato l’azione di Ratzinger contro importanti prelati accusati di abusi sessuali. Semplice e diretto, attivo su internet tramite Twitter e blog, O’Malley, criticato per essere andato ai funerali di Edward Kennedy, potrebbe incarnare meglio di altri il rinnovamento della Chiesa. Ma sarà difficile che un cittadino della prima potenza mondiale diventi papa. Pesa il “fattore A” (come America), acuito dai pessimi rapporti fra l’attuale presidente Usa e la Chiesa di Roma. Per lo stesso motivo sarà difficile vedere al posto di Ratzinger il sessantatreenne arcivescovo di New York Timothy Dolan.
La geopolitica invece sarebbe tutta a favore del ghanese Peter Kwodo Appiah Turkson, 65 anni a ottobre. “La cultura africana condanna l’omosessualità”, ha dichiarato Turkson intervistato da Christiane Amanpour, a smentire l’equazione papa nero=vittoria dell’ala “progressista”. Leader dei cardinali africani, sarebbe un papa energico e carismatico, ma allo stesso tempo conservatore: alla Wojtyla. Un’idea che non dispiacerebbe alla Curia romana, ma che scontenterebbe chi vuole una Chiesa ecumenica sulla linea tracciata dal Concilio Vaticano II.
Ma la vera sorpresa del conclave potrebbe essere il filippino Luis Antonio Tagle, 56 anni a giugno, il più giovane del conclave. Comunicatore e protagonista come Wojtyla (che quando fu eletto papa aveva due anni più di lui), ha lo spessore teologico di Ratzinger, che lo ha nominato cardinale nel suo ultimo Concistoro, esortandolo ad avere “coraggio”. Allievo alla progressista “scuola di Bologna”, è per una Chiesa più vicina ai deboli e più severa coi pedofili, con una sensibilità ecologica. La benedizione del “conservatore” Ratzinger rende Tagle uno dei più papabili fra i candidati “di sinistra”.
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