Vorrei essere bravo come l’autore di “Desperate housewifes” per descrivere, con il suo senso del destino e dell’imponderabile, le vicende dell’editoria italiana di cui sono stato testimone per quasi mezzo secolo. Non sento invece il bisogno della sua capacità creativa, perché la realtà è più complessa e contorta di qualsiasi invenzione.
Mi intriga la vicenda del Giornale, dal quale è stato allontanato un direttore, Mario Giordano, che non conosco, ma che ha reso il suo quotidiano una lettura obbligata per amici e avversari, non soltanto perché appartenente alla famiglia del presidente del Consiglio (che ne fu un fondatore), ma anche perché ha le notizie.
Sarà sostituito da Vittorio Feltri, uno dei più bravi direttori italiani del dopoguerra, secondo a Scalfari e pari a Montanelli tra i fondatori di giornali. Scalfari vince per le dimensioni raggiunte da Repubblica e perché Repubblica ha continuato a prosperare negli anni, ormai più di dieci, seguiti alla sua uscita. Delle due testate fondate da Montanelli, solo il Giornale gli è sopravvissuto. Libero, fondato da Feltri, sta per affrontare la prova del dopo.
Mettere Feltri al posto di Giordano è certamente una mossa azzeccata da parte dell’editore, che può legittimamente nutrire ambizioni di crescita per la propria testata e può legittimamente ritenere Feltri più idoneo di Giordano al proprio obiettivo.
Quel che ha messo in moto la mia fantasia, forse viziata da tanti anni in questo mondo e provocata dall’invidia verso l’autore della fortunata serie tv, è stata la motivazione che i giornali hanno attribuito all’avvicendamento, una motivazione non editoriale ma politica.
Giordano sarà sostituito, è stato scritto, perché non avrebbe preso le parti di Berlusconi con sufficiente vigore nelle ultime vicende che lo hanno travagliato. Una spiegazione che lascia un po’ perplessi, vista la lealtà aziendale e personale dispiegata da Giordano agli occhi di un lettore non di parte. Il fatto che non venga buttato fuori, ma parcheggiato in attesa di incarichi migliori, non vorrebbe dire altro che Berlusconi è leale con i suoi uomini anche quando sono in disgrazia.
Ho spinto la mia memoria indietro di un mese, sforzo immenso per un italiano, la cui memoria media non supera il terzo giorno, e ho ricordato i giorni del G8 in Abruzzo. Credo sia sfuggito a molti un fatto unico nella storia di Berlusconi: un anatema pubblico nei confronti di una testata della sua scuderia, una fatwa contro il Giornale, reo di avere mancato di rispetto a Carla Bruni, al secolo signora Sarkozy, moglie del presidente della repubblica francese Nicolas.
Il Giornale aveva fatto il suo mestiere, rilevando il poco garbo mostrato dalla Bruni nello stare sulle sue rispetto alle altre prime signore presenti e ne era seguito uno scambio di insulti, di persona e su carta, fra première dame e giornalisti.
Sarkozy è un piccolo ducetto a casa sua e il vizietto di far saltare i direttori non compiacenti lo devasta da tempo. Il direttore del settimanale Paris Match fu licenziato, pochi anni fa, perché aveva messo in copertina la foto della allora signora Sarkozy, Cecilia, in compagnia dell’uomo col quale era fuggita a New York, tradendo platealmente il marito. Sarkozy all’epoca era solo ministro dell’Interno ma il proprietario, Arnaud Lagardere, non poté dire di no.
Lagardere è proprietario di diverse testate (in Italia dell’ex Rusconi), ma i soldi veri li fa con la Eads, il colosso di costruzioni aerospaziali a guida franco-tedesca, secondo al mondo e più noto a noi cittadini come costruttore dell’Airbus: 116 mila dipendenti e 39 miliardi di euro di fatturato nel 2007, dei quali quasi un quarto viene dalle commesse militari; argomenti forti per un ministro dell’Interno, successore di Fouché.
Ma che c’entra l’Italia? Vorrei ricordare che Sarkozy è per Berlusconi l’amico che si può far conoscere alla mamma; con gli altri (Putin, Erdogan, Topolanek) si fanno le zingarate, ma Sarkozy è quello che garantisce.
Berlusconi ne ha talmente bisogno che ha legato l’Italia mani e piedi alla Francia in una scelta di centrali nucleari (non l’energia nucleare in sé, su cui l’Italia è solo in ritardo, ma le centrali per la sua produzione) che non è così pacifica; ed è arrivato a stravolgere le leggi, escludendo dalla procedura per la scelta dei siti il ministero che di mestiere dovrebbe proprio fare quello, il ministero dell’Ambiente, per evitare rogne con la Francia.
Sarkozy non è un editore ma un politico. Berlusconi è un editore, e anche un grande editore, televisivo. Nella stampa non si fanno grandi soldi e lui l’ha sempre vista più come attività strumentale che principale. Però, se è vera la teoria che ho esposto, non si è comportato da editore, ma da padrone. E non di quei padroni di giornali che giocano alla politica, come erano Hearst e Luce o Beaverbrook, ma di quelli che la fanno.
Però la testa di Giordano sul piatto di Salomé può anche essere giustificata: qui non ci sono in ballo solo gli affari, ma una visione precisa degli interessi nazionali. Con i tempi che corrono Erode è pronto a ben altro per molto meno.
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