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Berlusconi morto, lutto nazionale e straniamento privato

Sostituì la Dc, niente meno che la Dc, cioè mezzo secolo di potere, governo e consenso e identità italiani. La sostituì e rimpiazzò nella funzione storica e identitaria, ma trasformò l’arcigno presidiare la Diga anti comunista in una Festa a cui erano invitati tutti, anche i “rossi”, alla sola condizione smettessero essere tali. Diede anima, corpo e gioia all’anti comunismo, qualunque cosa fosse e potesse essere. Lo modellò come assai inclusivo il suo anti comunismo, infatti inglobava la voglia di impresa e il familismo amorale, il culto della “roba” e la religione dei “fatti propri”, la modernità dei costumi e del linguaggio e la tradizione del clientelismo, la demolizione dell’ipocrisia catto-comunista secondo cui denaro, ricchezza e successo sono trinità del peccato e del peccare e l’evasione fiscale come condizione naturale dell’essere umano.

Benedisse, anzi sacralizzò il far soldi e diede libero corso all’orgoglio di farli e averli fatti i soldi e consentì a ciascuno, soprattutto a chi i soldi non li faceva, di vantare come cosa buona, degna e giusta organizzarsi per farli i soldi e sognare di farli. Estrasse, peraltro scavando appena, una pepita d’oro, anzi intero aurifero filone nelle terre del consenso politico: la pepita, il filone, l’oro erano e sono la voglia dell’Io come valore supremo e non negoziabile. E dell’Io inventò e mostrò e praticò la liturgia. Una liturgia mai penitenziale, anzi mise in scacco, alla porta e al bando ogni penitenzialità nella vita collettiva in una sorta di inestinguibile ricordati che devi gioire.

Vinse le sue prime elezioni in tre mesi, roba che neanche Napoleone. Fece votare al Parlamento italiano che Ruby era la nipote di Mubarak, roba che neanche Caligola. Fece credere all’Italia di essere la Fininvest o di poter diventarlo. Fece le televisioni, i miliardi, i governi. Per 30 anni fu araldo, immagine e sostanza, profeta, intrattenitore e anche clown della gran parte del cosiddetto paese reale, della gente. E con e per la gente (che ingorda e bulimica di dosi mai bastanti di pietre filosofali fabbrica oro spesso e volentieri lo mollò per Salvini, poi Grillo, poi Meloni) combatté il comune nemico: la regola, qualunque fosse la sua forma materiale. Berlusconi fu come siamo. Per questo è giusto e appropriato che domani sia lutto nazionale per la sua morte.

Quello straniante sentirsi strano

E’ giusto e appropriato l’omaggio ad una storia personale che è stata storia d’Italia. E, sia consentito (anche qui la memoria va al “mi consenta…”), oltre al doveroso e proporzionato senso di lutto nazionale, anche uno straniante sentirsi strano, uno straniamento privato. Quante migliaia, decine di migliaia di volte in trenta anni abbiamo scritto o detto questo cognome, Berlusconi. Una presenza fissa e pervasiva nella vita di un italiano che non sia oggi un neo adolescente. Anche chi per decenni ha provato a chiamarsi fuori dalla antropologia di cui Berlusconi era modello e fucina, anche per chi ha saputo misurare la sua scarsa, (sì, scarsa) attitudine a governare, anche per chi non vedeva le magnifiche sorti e progressive del sostituire con la cultura del fare la cultura dell’essere e del pensare, anche per chi aveva i sensori per avvertire il calibro di brianzolità più che il respiro globale, anche nella casa-vita di chi da Berlusconi non era rimasto né convinto, né affascinato, né tentato c’era…Un soprammobile, un oggetto nella casa-vita di chi non era con Berlusconi, anzi. E quell’oggetto era Berlusconi.

Come qualcosa che ti è arrivato in casa e neanche con precisione ricordi o vuoi ricordare come e perché. Un vassoio di argento, magari istoriato, regalato per le nozze di qualcuno della famiglia? Qualcosa che non ti piace, non è di tuo gusto, che contraddice il tuo stile. Ma che, chissà perché, ti segue ad ogni trasloco e tu consenti che lo faccia. Qualcosa che nella tua casa-vita non mostri e tieni nell’angolo più basso e invisibile della libreria, qualcosa che nella tua casa-vita sommergi con qualcosa d’altro, magari i libri. Ma qualcosa che sta con te, nella tua casa-vita, per trenta anni. E che, quando si rompe, scopri uno straniante sentirti strano all’idea, anzi al fatto concreto della sua mancanza. Scopri che ti dispiace non ci sia più nella tua casa-vita, anche se non ce lo avresti mai voluto.

Mino Fuccillo

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