Il 19 maggio 1944, venerdì, era una giornata luminosa. Gli aerei americani arrivarono di mattina e rovesciarono tonnellate di bombe. Si contarono un centinio di morti più molti dispersi e feriti gravi. Alla fine della guerra a Genova 120 mila persone avevano perso la casa. Ci furono in tutto 2 bombardamenti navali e 24 bombardamenti aerei. Così ha inizio la rievocazione che di quel terribile giorno ha fatto Sergio Casali sul Secolo XIX.
Quel giorno di maggio i morti furono relativamente pochi, niente in confronto con i morti di Dresda, perché era scattato l’allarme con le sirene, ce ne furono in tutto 240. I genovesi si erano ammucchiati nei rifugi, le cantine e le grandi gallerie. Mio padre e mia madre non fecero in tempo e si distrassero nell’unico modo possibile. Il palazzo dove abitavano e poi abitammo fu l’unico rimasto in piedi di un blocco di 4 e di centinaia di case del centro e dei quartieri alti. Negli anni ’50, accompagnavo mia madre a fare la spesa nella città vecchia e erano macerie dappertutto. In tutto furono 12 mila gli edifici distrutti, ricords Casali. C’è un paese, oggi famoso per la focaccia al formaggio e la squadra di pallanuoto, Recco, che fu quasi interamente distrutto dalle bombe: volevano far cadere il ponte della ferrovia, unico collegamento sulla linea Roma-Genova-Francia.
Quella data del 19 maggio ha un posto nella mia vita, stando ai racconti che, anni dopo, mi fece mio padre. Otto mesi dopo, uno in meno di come recita una antica canzone degli alpini, è nato un bel bambino: era biondo, aveva l’itterizia, fu salvato da stufe e bottiglie d’acqua calda perché l’incubatrice non c’era.
Anche quando nacque, il 26 gennaio del 1945, piovevano bombe. Il prete aveva paura. Il padre, comunista ma credente, lo strattonò:”Nella casa di Dio non si deve avere paura” e lo costrinse a battezzarlo. Non voleva che morendo, finisce nel Limbo. La Madonna della Guardia lo ha protetto e è ncora lì.